«Era un gigante buono». Un padre, un amico, di sicuro da domenica sera un uomo con il cuore spezzato: perché Gigi Riva aveva legato con Davide Astori, insieme avevano fatto un pezzo di strada e quel rapporto all'inizio deferente da una parte e paterno dall'altra, si era trasformato in un'amicizia. Vera, mai gridata, il rispetto del calciatore leader per il monumento vivente e viceversa, con Gigi che aveva subito visto in Davide una persona di alto profilo, un «bravo ragazzo», dice.

Lombardi tutti e due, ma soprattutto c'era il Cagliari a unirli, il rosso e il blu nel cuore, anche se Astori aveva scelto di cambiare maglia nel momento più luminoso della carriera.

Da ieri Riva e Astori hanno un altro filo che li lega, e sarà per sempre: nessuno indosserà mai più le loro maglie, la 11 e la 13, un privilegio concesso ai grandissimi, alle figure che hanno scritto la storia del Cagliari. Per Gigi era stata una festa toccante, con il Sant'Elia e la Nazionale a celebrare Rombo di Tuono. Per il capitano della Fiorentina, invece, il momento più triste di una tragedia che fatichiamo a capire, a elaborare.

Riva è triste, un altro figlio del Cagliari che se ne va, un giocatore della Nazionale che nel pieno della vita e della carriera saluta tutti per sempre. Fra uomini di sport, tra cavalieri azzurri, il dolore è più forte.

Riva, qual era il vostro rapporto?

«Eravamo amici».

Come nacque quest'amicizia?

«Io ero team manager della Nazionale maggiore e lui il difensore centrale del Cagliari, fresco di convocazione. Ci spostavamo insieme per raggiungere Coverciano o le altre sedi del ritiro azzurro. E quindi era nato un bel rapporto, abbiamo continuato a sentirci ogni tanto, lo seguivo con attenzione particolare».

Ci sono episodi legati alla figura di Astori che lei ricorda?

«Certo, soprattutto uno. Un lungo viaggio in auto, noi due da soli, tra Milano, Genova e Firenze, fu una chiacchierata lunghissima, profonda, sulla nostra vita e sul futuro. Non posso dimenticare, ora più che mai».

La sua riflessione su questa tragedia.

«Non si può morire così, a trentun anni, un brutto scherzo. Un dramma per la famiglia, per i compagni, per il nostro calcio. Era un gigante buono, corretto e determinato in campo ed educato e disponibile fuori. Eravamo legati, non riesco a crederci».

Il Cagliari, in un certo senso, via ha "unito", con il secondo ritiro della maglia del suo primo secolo di storia.

«Lo trovo giusto, è un'iniziativa lodevole per celebrare un giocatore che al Cagliari ha dato tanto e che alla città e alla squadra era ancora profondamente legato. So che aveva conservato ottimi rapporti con gli ex compagni. In questo modo, lo ricorderemo per sempre».

La chiacchierata si chiude con un lungo silenzio, la commozione che vince sul ricordo. Il dolore del padre, del dirigente azzurro, uno che tutti hanno amato e che sapeva trovare le parole giuste per tutti, ma che aveva trovato nel sorriso, nella stretta di mano e nella lealtà di Astori un amico, oltre che un giocatore. La Nazionale e il Cagliari, legami indissolubili. «Era un gigante buono», sussurra Gigi, «non è giusto».

Enrico Pilia
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