Era già un mito negli anni Ottanta. Ora che ha da pochi giorni compiuto 80 anni è diventato un'icona. Dici Renato Pozzetto e sono oltre mezzo secolo di spettacoli, una settantina di film, non tutti imperdibili (anche se con gli anni si rivalutano), alcune regie (almeno 4), pubblicità, un artista che ha segnato una delle stagioni più felici della comicità italiana. Gli esordi da giovanissimo, gli amici, il lungo sodalizio con Cochi Ponzoni, il successo in tv, i film da grandi incassi al botteghino. A ottant'anni Renato Pozzetto ha ancora una vita "che l'è bela".

Fulminante nelle battute ("eh la madonna!", "taaaaaac!"), simbolo di una comicità ingenua e mai volgare, il pubblico lo ha sempre adorato, mentre la critica, soprattutto quella che non ama definirsi mainstream, l'ha spesso snobbato: Paolo Mereghetti, per esempio, nel suo famosissimo dizionario, quando racconta di quel "contadino scarpe grosse e cervello fino" del Ragazzo di campagna che va a cercar fortuna nella "metropoli tentacolare" (Milano) lo bolla per la sceneggiatura che "imbarazza per pochezza" e le gag "antidiluviane", ignorando che al botteghino quella pellicola firmata da Castellano e Pipolo incassò oltre due miliardi di lire. Mah.

Diplomato geometra all'istituto Carlo Cattaneo ritrova sui banchi di scuola Aurelio "Cochi" Ponzoni (anche lui cresciuto a Gemonio) e lo trascina nelle prime esperienze da cabaret: Cochi progetta e inventa, lui ci mette la verve, una vena surreale e il fisico. È una coppia che alla lontana rievoca Stanlio e Ollio e ha subito successo. Cochi è la metà raffinata, colta e mai sopra le righe, mentre Renato incarna l'animo più popolare e sempliciotto. Straordinario mix di ingenuità e goffaggine irresistibile, Pozzetto sul grande schermo indossa sempre la stessa maschera ma riesce a proporre ogni volta mille varianti, perché è intelligente e sa modificare il personaggio per intercettare il gusto del pubblico. Lavora con registi affermati (Steno, Clément, Risi, Corbucci, Bolognini, Festa Campanile), a più riprese col suo pigmalione Mogherini.

Per oltre vent'anni Renato Pozzetto è uno dei pochi "nomi sicuri" del divertimento popolare al cinema: basta il suo nome in cartellone (come per Villaggio o Celentano) per avere successo e i produttori lo sanno. Lo capiscono anche gli americani di Hollywood: l'indimenticabile "Da grande" del 1987, accanto a Ottavia Piccolo e Alessandro Haber, è diventato oltreoceano "Big", un poco riuscito blockbuster diretto da Penny Marshall con un giovanissimo Tom Hanks protagonista.

Con Enrico Montesano, sempre diretti da Maurizio Ponzi, supera la prova del ponte tibetano in "Noi uomini duri" (nel cast c'era anche Alessandra Mussolini), e veste i panni di un faccendiere senza scrupoli in "Anche i commercialisti hanno un'anima". Chissà, forse ha ragione lui quando dice che "le generazioni mie, Teocoli, Boldi, Abatantuono, Villaggio non le eguaglierà nessuno. Perché noi abbiamo fatto epoca. Con le nostre vite, le nostre abitudini, le nostre tristezze e le nostre tragedie. Perché un comico che può far veramente ridere deve sorbirsi esperienze di ogni genere. E la bellezza di una faccia che si riconosce è proprio questo: se mi riesci a guardare negli occhi ti sentirai a casa, una casa che si chiama Italiano. Come le belle cose che si facevano tra il 1960 e il 1990, poi tutto è diventato difficile. Ed è un peccato, non per me che ho anche l'umbrela, ma più per voi che ridete poco e vi divertite male". Noi, però, grazie a lui ridiamo ancora: riguardando Mia moglie è una strega (con Eleonora Giorgi), la Casa stregata (con Gloria Guida), 7 chili in 7 giorni (con Carlo Verdone), la Patata bollente (con Massimo Ranieri ed Edwige Fenech). Film magari non proprio immortali, e va bene, se vogliamo pure imperfetti per tante ragioni. Però c'è sempre lui con l'aria stralunata, le sue battute grottesche, la sua postura goffa e sublime, braccia indietro petto in fuori, mento in su e sguardo perso verso il cosmo. E noi, sempre lì, a ridere di gusto.
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