Sue Lyon tirò fuori dalla tasca del cappotto una bottiglietta di acqua ossigenata a dieci volumi che aveva nascosto in un foglio di carta oleata del negozio di mister Smith e si chiuse in bagno.

Ultima di cinque figli, nessuno, per quei minuti che le servivano, l'avrebbe cercata. Morto il padre, la madre si arrangiava come poteva. E, una mattina, da Davenport, Stato dello Iowa, li aveva portati tutti a Los Angeles. Sue Lyon era una bambina bellissima. La gente la fermava per strada. Nonostante quelle guance smagrite dalla fame, aveva occhi vivi, scuri, profondi. "Potrebbe fare l'attrice!", ripetevano le vicine di casa, e la madre ogni tanto ci pensava, a quei programmi della televisione, a quelle ragazzine che cantavano l'inno americano e ballavano il tip tap con piccoli gonnellini svolazzanti. "Chissà quanti soldi le pagano", pensava, e forse lo pensava a voce alta, perché anche Sue Lyon lo sapeva. Doveva lavorare in televisione, e in fretta. Lo doveva fare per sua madre, lo doveva fare per i suoi fratelli.

DALLE RADICI ALLE PUNTE - In bagno si tirò su le maniche del maglione, afferrò la bottiglietta e si cosparse i capelli di acqua ossigenata, tutti, dalle radici alle punte. Spaventata ed eccitata, aspettò.

Racconterà, poi, che furono proprio i suoi capelli biondi a incuriosire Stanley Kubrick. Lunghi, caldi, morbidi. Il regista la vide in un paio di puntate di "Dennis la minaccia" e "Loretta Young Show", piccoli ruoli, ma ce l'aveva fatta. Si muoveva bene, su scarpette a punta e tacchi sottili, mentre la mamma la osservava al di là del sipario di paillettes argentate e pensava che quello fosse il paradiso in terra. Aveva pagato tutti i debiti che aveva con il droghiere. Le vicine di casa, ora, la guardavano con rispetto. La domenica andava a messa.

MISS SORRISO DELLA CONTEA - Di Stanley Kubrick, la donna non sapeva niente, figuriamoci di Vladimir Nabokov. Acconsentì al provino perché la figlioletta, intanto, era diventata Miss Sorriso della Contea di Los Angeles. E chi la fermava più, la ragazzina! Applausi da ogni parte, fotografie in bikini, cataloghi di moda. Veniva su bene, proprio bene. Sfido chiunque a darle quattordici anni.

IL PROVINO - "Non appena la vedemmo pensammo mio Dio, se questa ragazza sa anche recitare, è la nostra". In quel 1960 Stanley Kubrick viveva già in Inghilterra. "Solo qui posso avere il pieno controllo dei miei film". L'anno prima Kirk Douglas gli offrì la regia di "Spartacus", dopo aver licenziato Anthony Mann, con cui aveva avuto parecchi contrasti sul set. Non andò male, con quei quattro premi Oscar vinti, ma voleva fare altro. Un film dal romanzo del russo Vladimir Nabokov, per esempio. Aveva acquistato i diritti in estate. Le ossessioni della provincia americana, le perversioni, i tormenti: tutto lo eccitava. La scrittura del film, la sua costruzione. I provini, con ottocento ragazzine in fila con le labbra rosse e tumide, e le le loro madri accanto, durarono niente. "Tutto ciò che Sue Lyon faceva, cose banali come maneggiare oggetti o attraversare una stanza, o solo parlare, era fatto con modi estremamente affascinanti". Stanley Kubrick la convocò per il giorno seguente. Le fece provare la scena in cui il patrigno la interroga sulle sue frequentazioni mentre le smalta le unghie dei piedi.

PER SEMPRE LOLITA - Scriveva Vladimir Nabokov: "Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta". Sue Lyon diventò Lolita. E lo diventò per sempre. Anche oggi che, a 73 anni, da tempo malata, è morta.
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