"Adesso che Carlo è scomparso, quando parlo di lui, lo devo fare al passato. E questo è atroce".

Ha un tono drammatico la voce di Enrico Vanzina, scrittore e sceneggiatore di tanti film di successo prodotti e diretti dal fratello Carlo scomparso l'8 luglio del 2018, all'età di 67 anni.

"Ho sempre pensato che Carlo fosse un po' Lawrence d'Arabia che attraversa stoicamente il deserto di pietre per raggiungere Aqaba a dorso di cammello: un uomo forte e deciso che affronta il dolore con sguardo enigmatico".

In un libro intenso che ha il sapore di un memoriale sofferto e di un ricordo che senza nulla di celebrativo ne rammenta la figura dolce e ottimista, Enrico ripercorre la vita del fratello Carlo all'insegna del lavoro e della genialità operativa che li ha sempre contraddistinti. E con amorevole rimpianto straziato dalla perdita in "Mio fratello Carlo" (Harper Collins, 188 pagine) ricorda i giochi, il collegio svizzero, l'amata Sardegna delle vacanze estive, il lavoro cinematografico fatto con un affiatamento lodevole sotto ogni punto di vista e il calvario della lotta contro il melanoma.

Un'immagine dagli anni dell'infanzia (archivio L'Unione Sarda)
Un'immagine dagli anni dell'infanzia (archivio L'Unione Sarda)
Un'immagine dagli anni dell'infanzia (archivio L'Unione Sarda)

Figli di Steno (pseudonimo di Stefano Vanzina) il grande regista di tanti film comici negli anni Cinquanta e Sessanta, Enrico e Carlo non hanno fatto altro che seguire le orme del padre ottenendo lo stesso successo - se non superandolo - con film come "Sapore di mare" che ha segnato un'epoca e ha aperto nuove rotte per la commedia all'italiana. Da non dimenticare anche i tanti film sulle "Vacanze di Natale", veri panettoni delle feste. Oltre sessanta i film prodotti e diretti da Carlo e più di un centinaio le sceneggiature scritte da Enrico. E ora che Carlo non c'è più, Enrico sente fortemente la mancanza di quel fratello che si era sposato tre volte, aveva due figlie "ed era un genio nel suo lavoro. Ma affrontava la vita pratica con qualche generosa distrazione".

Abbiamo incontrato e intervistato Enrico Vanzina a Pordenone, nell'ambito della manifestazione letteraria "Pordenolegge".

Che cosa ha significato per lei la perdita di suo fratello?

"La perdita è entrare in una dimensione diversa, la riappropriazione dell'assenza di qualcosa. Quando si perde una casa, un lavoro, un luogo rimane un ricordo: in questo caso ho perso mio fratello e in un primo momento c'è lo sconvolgimento, l'angoscia, ma poi più passa il tempo e scrivendo soprattutto di lui, mi accorgo che è sempre accanto a me, e nessuno lo perderà più. Da bambino volevo fare lo scrittore e una volta chiesi a Ennio Flaiano a che serve scrivere. Lui mi rispose: 'Serve a sconfiggere la morte'. Memore di quelle parole, ho scritto questo libro".

Come sente la presenza di Carlo?

"Con Carlo abbiamo lavorato tutti i giorni della nostra vita insieme, scrivendo, producendo i film. Io continuo a fare questo lavoro e quando entro in ufficio tutti i giorni e mi metto al lavoro, ogni tanto guardo il suo posto vuoto e chiedo: tu come faresti?".

Come vi organizzavate nel lavoro?

"Avevamo dei ruoli un po' divisi: io scrivevo e lui dirigeva, e poi ci trovavamo spesso sul set soprattutto nella fase di montaggio del film. C'era una comunione totale del tutto gradita tra noi dell'umorismo, del cinema, della letteratura, della pittura. Avevamo davvero gli stessi gusti pur essendo dal punto di vista caratteriale totalmente apposti. Da piccolo - aveva due anni meno di me - lo vedevo fisicamente meno forte. Fragile, delicato. In realtà, anche se più basso e minuto, mio fratello era cento volte più forte di me. Possedeva una spaventosa forza nervosa, da vero atleta. Anche per questo, provo un'immensa tristezza nel ricordare la sua sofferenza fisica durante la malattia. Per me era qualcosa di straziante, di ingiusto. Alla morte, non perdono i preliminari. Dovrebbe sempre arrivare all'improvviso come un fulmine a ciel sereno. Invece, in molti casi usa la tortura. Ma con la sua pazienza gentile, un atteggiamento della sua buona educazione, Carlo cercava sempre di non mostrare le sue debolezze".

Che cosa le manca di più di suo fratello?

"Mi manca tutto di lui. Ma lui non c'è più. E mi dispiace perché Carlo si divertiva molto a vedere la vita che spesso abbiamo cercato di riprodurre nei nostri film, talvolta in maniera divertente e azzeccatissima, altre volte meno. Trasferire la vita sullo schermo era un po' la nostra missione, come ha fatto nostro padre prima: e così abbiamo cercato di fare noi seguendo le sue orme. Ma senza Carlo la vita diventa sempre più ridicola e analizzare il ridicolo per lui sarebbe stato un vero piacere".

Il vostro acume critico collimava sempre?

"Siamo stati sempre rispettosi dell'idea che non bisognava essere moralisti nello sguardo. Quindi mai mettere opposizioni ideologiche o etiche, ma osservare e avere un certo affetto anche per i personaggi che non erano quelli che noi preferivamo. Tutti hanno delle ragioni nella vita, per cui il cronista, il drammaturgo, il commediografo, lo scenografo, il regista devono raccontare anche i difetti degli altri ma con affetto".

Un progetto comune che avreste dovuto realizzare a breve?

"Ho ancora tantissimi soggetti e sceneggiature che abbiamo scritto insieme e cercherò di portarle avanti e di realizzarle per quanto possibile. Ci sono anche altre cose a cui sto lavorando ma Carlo anche ora che lavoro da solo, mi è accanto. Tra noi c'è sempre stato un grande amore. Uso la parola amore in piena coscienza. Perché tra Carlo e me nel corso della nostra vita, non era andata in scena una storia normale. Ci amavamo sul serio. Dove per amore s'intende il mistero, la passione, il dubbio, talvolta la voglia assoluta di condividere tutto, la presenza, nelle gioie e nei dolori, la pazienza e il perdono. Eravamo stati uno in due".

Come vorrebbe che suo fratello fosse ricordato?

"Per quello che realmente era: una persona molto per bene. Una volta in una intervista disse: 'Vorrei essere ricordato per alcune cose, non per il cinema soltanto, ma soprattutto per essere diventato quello che voleva mio padre: una persona gentile che rispetta gli altri'".

Francesco Mannoni

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