Piccolo Teatro Grassi, Milano. Il sottopalco è a vista, recinto da una gabbia metallica. In proscenio tre lastre di metallo scuro chiudono lo spazio. Le luci sono accese e il pubblico è in brusio quando si sente un ansimare inquietante di cane e Paolo Pierobon, vestito d’una pelliccia sdrucita da animale, fa la sua comparsa dentro la gabbia. Irrompono in platea due uomini vestiti con un camice bianco. Salgono sul palco, buio in sala: ha inizio così lo spettacolo “Cuore di Cane”, magistralmente diretto da Giorgio Sangati; il testo è una riscrittura di Stefano Massini, tratta dall’omonimo romanzo di Bulgakov del 1925.

Il dott. Preobrazénskij (un Sandro Lombardi enfatico e credibile, anche se in parte monocorde) tenta un grande esperimento scientifico alla Frankenstein: impiantare l’ipofisi di un ragazzo nel corpo di un cane randagio di età avanzata per ridargli la giovinezza perduta. È esaltato quando spiega la sua gloriosa ricerca: “la modernità plasma un modernissimo Adamo”.

Il sorprendente “Homunculus” creato in laboratorio ha un’evoluzione in diverse fasi, delineate da un’intensa interpretazione del bravissimo Pierobon e da un sapiente uso che l’attore fa della voce e del corpo.

Inizialmente la creatura conserva dei tratti di animalità, ma imita il linguaggio umano in una serie di divertenti gag: apostrofa l’assistente come “idiota” e la borghesia come “canaglia”, citando Carl Marx e provocando nel pubblico una fragorosa risata.

Impara poi a camminare e a comportarsi come un uomo “per non risultare ridicolo agli occhi degli altri” come spiega il professore, che inizia ad impartirgli una serie di concetti: “l’essere umano, anche il più libero, ha un padrone: la società, che ci comanda a bacchetta fin dalla nascita”. Si legge una critica al regime sovietico russo, tema di fondo già nel testo di Bulgakov.

Tra i dogmi snocciolati da Lombardi su proprietà privata, inganno, giustizia, perdono e giuramento, si coglie però anche tutta l’ipocrisia della classe borghese.

Homunculus impara con il tempo ad esprimersi con cognizione di causa, ma diventa sempre meno affabile e più duro, rifiutandosi di seguire gli ordini impartiti dal suo padre-padrone, che ritiene di averlo elevato “Se tu mi hai elevato, ma io devo ancora abbassare il muso, allora dove sta l’elevazione?” puntualizza, ormai uomo a tutti gli effetti.

Preobrazénskij e il suo assistente (interpretato da Giovanni Franzoni) iniziano a chiedersi da dove derivi l’ipofisi impiantata al cane Pallino, e scoprono essere appartenente ad un ladro e assassino, processato per frode. Ecco sotto sotto cos’è la creatura: “prendemmo una bestia e ne facemmo una belva”.

Pallino inizia a simpatizzare per il regime e frequentare altri compagni, per il grande orrore del professore, che da grande borghese odia le regole imposte dai sovietici, in particolare quella che dispone per ogni cittadino esattamente di 12 mq di spazio, mentre lui ha una casa “che neanche Isadora Duncan” e può scegliere ogni giorno se mangiare storione o vitello.

Camicia di forza (foto Masiar Pasquali)
Camicia di forza (foto Masiar Pasquali)
Camicia di forza (foto Masiar Pasquali)

Pallino si iscrive all’anagrafe, aiutato da un Compagno, completando quelle pratiche burocratiche che, come lo stesso Preobrazénskij gli aveva spiegato, lo rendono cittadino a tutti gli effetti, perché anche lui ha la dignità di esistere, avere un nome, essere riconosciuto e avere uno spazio proprio “chi respira è cittadino, e il cittadino pretende tutto: alloggio, mestiere, posizione, documenti”, dice Pierobon, rendendo sempre più evidente la grande attualità di questo testo.

Così il Signor Pallinof, sempre più spietato, (con il cranio rasato e la faccia malefica Pierobon pare un misto da Hannibal Lecter e Mussolini), chiama un funzionario di stato a verificare “lo scempio borghese di beni del popolo” perpetrato da Preobrazénskij ai danni suoi, delle due serve e della cittadinanza tutta.

Il cane è ormai indottrinato e ogni insegnamento impartito dal professore si staglia contro di lui “mi hanno insegnato che la verità è tutto” sogghigna Pallinof di fronte al dott. Preobrazénskij in difficoltà.

In scena anche Bruna Rossi e lucia Marinsalta, nei ruoli rispettivamente di cuoca e sguattera, nel primo atto ridotte a semplici serve di scena e nel secondo recitanti parti meno significative di quelle maschili, come purtroppo spesso accade negli spettacoli portati in scena in Italia, carenti di ruoli femminili di spessore, ma non di ottime interpreti. Efficace l’interpretazione breve ma intensa di Lorenzo Demaria nei panni del funzionario.

“Cuore di Cane”, tra inquietudine, risate, Marx e Hegel, ipocrisie borghesi, filosofia e dogmi sociali, è una macchina spietata ed efficacissima, così come gli ingranaggi scenografici progettati da Marco Rossi e i costumi di scena ideati da Gianluca Sbicca.

Lo spettacolo di Giorgio Sangati merita di essere visto (ndr, è in scena al Piccolo fino al 10 marzo), perché difficilmente se ne potranno dimenticarne gli insegnamenti:

“La vera differenza tra umano e cane e che il cane prende calci pungi e schiaffi senza potersi lamentare”.

Roberta Crivelli

(attrice teatrale)

Il manifesto (Foto Masiar Pasquali)
Il manifesto (Foto Masiar Pasquali)
Il manifesto (Foto Masiar Pasquali)
© Riproduzione riservata