Hanno interpretato il ruolo dei "nuovi schiavi", dei migranti che vengono ignobilmente sfruttati dai "caporali" nelle campagne. Ma, alla fine, dodici ragazzi ospitati dal Cas (Centro di accoglienza straordinaria di Vallermosa) hanno rischiato di essere davvero schiavi.

Perché, dopo aver lavorato, non sono stati pagati. Una vicenda kafkiana, figlio di fraintendimenti e della macchinosa burocrazia italiana quella avvenuta durante le riprese "Fiore gemello".

Durante la lavorazione del film, un rappresentante della produzione aveva trovato un accordo verbale con i responsabili del Cas: dal momento che nessuno dei migranti impegnati nel film aveva un iban o un conto corrente, si era stabilito di versare i compensi nel conto del Cas. Cosa, però, impedita dalle norme. Così, i ragazzi non hanno ricevuto il denaro.

"Nessuna responsabilità da parte nostra - spiega la produzione - noi abbiamo rilasciato regolare busta paga e abbiamo anche versato i contributi previdenziali. Anzi, siamo danneggiati perché non abbiamo pezze giustificative per spiegare questi versamenti".

Una ricostruzione confermata anche dalla Film commission (il film è stato finanziato in parte dalla Regione e ha avuto il supporto proprio dalla Film commission)."Gli assegni destinati ai figuranti giacciono in banca", spiegano.

In realtà, alla fine i ragazzi sono stati pagati: i responsabili del Cas hanno tirato fuori di tasca propria il denaro. "Ma dobbiamo trovare una soluzione per chiudere una vicenda che rischia di gettare fango su un film che, invece, merita di essere esaltato per il modo in cui è fatto e per le tematiche che affronta".

Marcello Cocco

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