La Sardegna prima di tutto. La Sardegna al centro di tutto. C’è l’Isola nel cuore e nel lavoro portato avanti in questi anni da Cristiano De André, e non fa eccezione anche questo, nuovo, terzo capitolo del ciclo "De André canta De André" (in uscita venerdì 6 ottobre).

L'Unione Sarda a tu per tu con il cantautore genovese, per analizzare un album che – dice – "ha una profondità pazzesca", prima di sottolineare di essersi trasferito in Sardegna, a Portobello di Gallura: "Ed è un trasferimento definitivo. Ho deciso di vivere lì, la cosa migliore che potessi fare nella vita".

Perché?

"Perché lì è la migliore delle vite che si possa fare. E perché vivo nella casa che ha costruito mio padre, un luogo in cui ha vissuto dal 1968 al 1974, anche se tutti ricordano l’Agnata, che scoprì solo nel 1973".

Quanto la Sardegna, a questo punto, influisce sulle sue scelte artistiche?

"È il posto che mi permette di andare fuori a fare concerti, a fare il mio lavoro e poi tornare. E tornare è bellissimo. Credo che la felicità stia nelle piccole cose e nello scoprire la bellezza".

Ed è ciò che ha trovato a Portobello?

"Sì. È una cosa in cui credo molto, vedo la bellezza intorno e mi calmo. Amo la contemplazione, quell’attenzione distratta verso le cose che per me è la base per riuscire a scrivere. Poi sto ampliando la villa, non voglio più vivere in città".

Quindi è proprio una scelta definitiva?

"Sì, voglio trasformarla in una residenza stabile. E mi piacerebbe comprare del terreno sopra e farne una mia piccola Agnata al mare".

Il disco riprende dal vivo diverse canzoni "politiche" di Fabrizio de André. Perché guardarsi ancora indietro e rileggere questo tipo di brani?

"Con questi volumi dal vivo sto cercando di fare un’opera nell'opera. Questa è la musica che mi piace fare. Mio padre voleva cambiare le coscienze e io non posso fare altro che stargli dietro. Io sono figlio suo, esserlo è stato tremendamente difficile da una parte ma un grandissimo orgoglio dall'altra. Perché se n’è andato a 58 anni, senza mai uno scivolone, con grande coerenza artistica. Motivo per cui i giovani oggi continuano a scoprirlo".

Che disco è quindi?

"Un album che recupera il concetto dell’arte contro l’oscurantismo di questi tempi. Ha diverse canzoni che sono contro la guerra. ‘Canzone del maggio’, per esempio, la voglio dedicare a Carlo Giuliani, in ricordo di tutti gli scempi che sono stati commessi in quei giorni. Sono canzoni contro la guerra, ma non in maniera superficiale e fine a se stessa. Sono contro la guerra dei depistaggi, perché oggi l’opinione pubblica viene tartassata da notizie sbagliate e viene omessa la verità. Sono canzoni conto i poteri forti, come ‘Il testamento di Tito’ che è il testamento di Fabrizio De André, 'Sinàn Capudan Pascià', 'Dolcenera', 'La guerra di Piero' o 'Il bombarolo', che parla di estremismo. Non si può rispondere con la violenza alla violenza, ma con la coscienza".

E musicalmente?

"Volevo che questa volta la chitarra di Osvaldo Di Dio venisse fuori di più. È un disco registrato all'antica, con tante chitarre acustiche ed elettriche, e qualche inserto dei piano. Non sentivo il bisogno di tastiere, ma di un suono da band".

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Cristiano De André ha poi annunciato l’uscita, nei prossimi anni, di un quarto e un quinto volume di questo ciclo "De André canta De André" e anche l’uscita entro il 2018 di un nuovo disco di inediti a cui sta lavorando. Prima però pubblicherà una rielaborazione in studio di "Storia di un impiegato" per i 50 anni degli eventi (il Sessantotto) di cui parla quel lavoro (il disco è del ’73).

In tv, invece, verrà trasmessa la fiction su Fabrizio de André, su cui Cristiano però ha un giudizio netto. "Sono un po’ staccato da ciò che fa la Fondazione de André", dice. "Dori (Ghezzi: ndr) fa delle cose, io ne faccio altre. Del film non ho condiviso per nulla il bisogno di farlo. Ci sono io da piccolo, c’è una storia delicata e difficile da raccontare. Non voglio dire che è uno sbaglio, però... Staremo a vedere".

Marco Castrovinci
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