C'è qualcosa di meglio, alla vigilia di un'opera, che farsi cinquanta chilometri in bicicletta? Non c'è, se si è Leo Nucci.

Che è fiero di aver scalato lo Stelvio e il Pordoi ed è, sì, anche il più grande baritono verdiano vivente. Tutto questo per passione. Che altro è, se non passione, la molla che a 75 suonati (e cinquant'anni di carriera) porta quest'emiliano innamorato della vita nei teatri del mondo? Stasera alle 21.30 sarà di nuovo in scena, sul palcoscenico della Forte Arena di Santa Margherita di Pula, per il debutto nel melodramma del teatro all'aperto del Forte Village. Sarà la sua cinquecentoventiseiesima volta (ufficiale) nei panni del tragico buffone della corte dei Gonzaga. E sarà, come sempre, la prima volta.

"Non voglio sentir parlare di routine. Per chi si emoziona, lavorando, non esiste routine. Ogni volta è diverso: cambiano i cantanti, l'orchestra, il direttore, il regista, cambia soprattutto il pubblico". Racconta, con quella sua contagiosa umanità, che quando debuttò nel ruolo aveva 31 anni e accanto a sé, in scena, come Gilda, un giovane e bravo soprano. "Adriana Anelli, mia moglie, incinta di sei mesi di nostra figlia". Quarantaquattro anni dopo, i due cantanti hanno due splendidi nipotini. "Capisce perché il mio Rigoletto è sempre diverso?".

Leo Nucci parla di estetica, di come la vita nutra l'arte, ma parla anche di etica, che poi è la stessa cosa: "E l'etica ci impone di dare il meglio, ogni volta. La nostra esistenza è un lampo, un vento che passa. Chi ha avuto la mia fortuna e non la sa apprezzare perde e fa perdere agli spettatori la meraviglia di qualcosa che si rinnova ogni volta. Nessuna recita è uguale all'altra. E solo se senti l'emozione che il pubblico ti restituisce fai bene il tuo mestiere. È il rapporto totale, che conta, quello che riesci a dare".

Lui lo fa da sempre. E alla sua età continua a girare il mondo con la musica. "Come dice il mio grande amico Chung, la musica è un messaggio d'amore. Ogni nota è l'ultima della tua vita. E ogni giorno ci regala qualcosa di nuovo. Io sono felicissimo dei miei 75 anni".

Nucci (che tiene a ricordare, qui in Sardegna, Giusy Devinu, "cantante e donna straordinaria"), è arrivato a Cagliari dopo il "Rigoletto" di Las Palmas, Canarie. Accanto a lui, come Duca di Mantova, c'era Antonio Gandìa, che ritroverà stasera. Poi, martedì, di nuovo in volo, per la tournée del Massimo di Palermo che lo porterà in Giappone con "La Traviata". E di nuovo in Europa, nel teatro romano di Orange, Francia del Sud, per un altro "Rigoletto". "Ho impegni sino al 2020. E sa che le dico? Che finora non ho mai avuto bisogno di un otorinolaringoiatra, di un foniatra. Ci sarà pure un motivo, no?". La buona sorte, ma soprattutto il rigore che ha caratterizzato la sua incredibile carriera. Una disciplina di ferro (merito del ciclismo?) unita a una professionalità al di sopra di tutto. E al rispetto di sé stesso e degli altri. "Io ringrazio per questo dono che ho avuto, e faccio il possibile per ricambiarlo".

Ride dei divi, di quest'epoca in cui chiunque emetta una nota finisce su Youtube o su Facebook. Sarà per questo che ama definirsi celebre e non (banalmente) famoso. "Noi siamo soltanto testimoni. Artisti sono i compositori. Stasera, quando entrerò in scena, lascerò la vanità di Leo nel camerino. E sarò solo Rigoletto". Un Rigoletto con trentadue anni in più, rispetto a quello che lo vide in scena, nel 1985, all'Anfiteatro Romano di Cagliari.

A quando un'autobiografia?

"Me l'hanno proposta due editori. Ho risposto che però prima devono procurarsi un avvocato… Non so stare zitto, accidenti a me".

La sua sincerità le ha mai procurato dispiaceri?

"Rogne sì, non dispiaceri. Io credo in quello che dico, non sono arrogante. Amo confrontarmi e crescere grazie agli altri, ma su tutto amo la verità".

Nucci, che vive a Lodi, patria di Adriana Anelli, e torna spesso a Castiglione dei Pepoli (Bologna), dove è nato, ha intrapreso a 70 lo studio del violoncello. I suoi compagni di classe sono ragazzini di dieci anni o poco più. "Mi chiamano Maestro, ma quando mai! Io sono un alunno come loro".

Maria Paola Masala

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