Il professore quasi lo supplicava: finisci gli esami. Ma lui niente: cercava bandi e borse, inviava curriculum, condivideva notizie sui social. Aveva voglia di studiare, questo sì, però non voleva perdere l'opportunità di imparare. E pazienza se la laurea in Medicina arriverà con due anni di ritardo. «Nel frattempo ho lavorato a sette progetti di scambio all'estero». Che hanno prodotto un risultato immediato: «Sono stato assunto». In Olanda, con uno stipendio che gli permette di fare ricerca e puntare al suo obiettivo: «Il dottorato».

Fabio Porru ha 28 anni e un futuro nel cuore dell'Europa. «Mi interessa la psichiatria. Dopo un primo progetto Erasmus al quarto anno di Medicina sono stato a Stoccolma e Cracovia». Poche settimane. «Tutto in inglese, ho studiato il polacco giusto per riuscire a muovermi». Quindi si è spostato a Rotterdam. «Avevo il desiderio di tornare in Svezia e mi sarebbe piaciuta anche la Germania ma non ce l'ho fatta. E comunque anche nella città olandese sono leader mondiali».

Tutto da solo - D'accordo, ma come si fa? «Pura intraprendenza». Non è per tutti, allora. «Al contrario: con l'Erasmus si impara a muoversi. Sapevo che c'erano borse di studio e ho mandato curriculum con una lettera motivazionale per un tirocinio». Della serie: mi chiamo Fabio e studio Medicina. «Proprio così. Mi hanno preso a Rotterdam ma avevo la possibilità di andare in Polonia, Portogallo o Spagna». Neanche il tempo di arrivare in Olanda e gli è stato subito assegnato un progetto. Un altro mondo: «In Italia gli studenti non fanno ricerca se non per la tesi di laurea». Lì, invece. «Mi hanno detto: vediamo cosa sai fare, se sei bravo comparirai fra gli autori, se sarai molto bravo firmerai come primo autore ». Indovinate com'è andata? «Primo autore». Quindi: molto bravo.

Cagliari - «Erano entusiasti: ho lavorato sull'impatto dei sintomi depressivi sulla capacità degli adulti di stare sul mercato del lavoro». Ma siccome ha radici solide a Cagliari ha presentato un progetto di ricerca sulla salute mentale anche per il dipartimento di Medicina del lavoro del suo ateneo. «Due docenti hanno dato l'ok». Il motivo c'è ed è semplice: «Sono problemi diffusi ma poco trattati. Ho assistito a tante difficoltà guardandomi attorno, di più, l'ho proprio sperimentato, per questo ho voluto lavorare sulla salute degli studenti universitari». E ha pure giocato la carta del gemellaggio: «Ho proposto di coinvolgere l'università di Rotterdam». Detto, fatto. «Tutto su mia iniziativa». Senza laurea. «Sì». Ma con tanti progetti in fase di realizzazione.

L'Olanda - «Sono stato a Groningen per tirocini clinici in Cardiochirurgia e Cardiologia», obbligatori in vista della tesi. «Tre mesi, d'estate. Lavoravo fino alle 3 del pomeriggio e siccome mi avanzava tempo e non volevo sprecarlo andavo in giro per i vari dipartimenti». Ha conosciuto una docente che lo ha coinvolto in una ricerca sulla salute mentale dei giovani lavoratori. «Ho dato una mano a un progetto già avviato». Quando si dice il caso: quella prof conosceva l'insegnante di Rotterdam, ed è cominciata una nuova collaborazione. «Il collante ero io». L'idea era di trasformare quel lavoro nella sua tesi di laurea «ma qualcosa è andato storto, in senso positivo». Ossimoro presto spiegato: «Il mio professore voleva che mi laureassi ma io vedevo che c'erano tante chances in Europa e volevo imparare». Insomma: ha vinto una borsa di studio ed è tornato a Rotterdam.

La svolta - Era il maggio 2018. Da allora vive lì. «Un ritorno: la prima volta mi avevano chiesto di completare 500 questionari in tre mesi, in trenta giorni ne ho fatto ottomila». Una macchina da guerra. «Mi era mosso attraverso i social nei vari gruppi studenteschi di diversi atenei. Questa volta avrei dovuto raccogliere altri dati, sarei dovuto restare due mesi». Invece è ancora lì. Riassunto: il progetto di uno studente è diventato un dottorato di ricerca. Ma siccome vivere all'estero costa e le borse di studio non bastano, per continuare serviva qualcosa di più. Che è arrivato, al momento giusto: «Sono stato assunto dal dipartimento di Sanità pubblica». Da studente. «Proprio così». In Olanda è normale per i giovani del posto ma è difficile che uno straniero conquisti un regolare contratto di lavoro prima della laurea. Chapeau. I tempi erano maturi per finire la tesi, volare a Cagliari, diventare medico e non fermarsi: «Ho un approccio multidisciplinare, sto lavorando anche ad altro». Con una certezza: «Non lascio la mia città natale». No. E perché? «Sono cresciuto in quella università che mi ha dato l'opportunità di fare tante cose con docenti che hanno creduto in me e mi hanno dato supporto».

Il futuro - Sì, ma come si concilia l'Olanda con la Sardegna? «Da qui voglio sostenere Cagliari, lo sto già facendo con la tesi di uno studente, anche perché mi piace l'insegnamento. Lavoro a distanza per la mia università, per farla crescere insieme a me. Ora che sono giovane e non ho legami mi piace andare in giro, sto crescendo, sto costruendo uno spazio mio e mi piacerebbe tornare a Cagliari». Più chiaro di così. «Sarebbe stato più semplice tagliare i ponti con la mia città perché avrei avuto un solo capo, un solo punto di riferimento, meno complicazioni, più tempo».

Invece sta fisicamente lì ma con la testa qui. Per favore: nessuno parli di cervello in fuga.

Maria Francesca Chiappe

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