Questa è la straordinaria storia di una coppia di Porto Torres, Rosina Delrio e Gavino Musino, che negli anni '50, prima della rivoluzione castrista, fece fortuna a Cuba aprendo uno dei primi ristoranti italiani a L'Havana.

Quando la bellissima Rosina conobbe Gavino Musino fu amore a prima vista e i due non si lasciarono più. Lasciarono invece la poverissima Porto Torres di fine anni '30 e si trasferirono a Roma, domestici e cuochi di un generale di Mussolini, nella villa che era stata la dimora del Maresciallo Badoglio.

A guerra finita al generale venne affidato un nuovo incarico: ambasciatore d'Italia a L'Havana. E chiese alla coppia di seguirlo: non poteva fare a meno della loro grande discrezione e sapienza culinaria. I due turritani accettarono l'avventura, che avrebbe cambiato per sempre le loro vite.

Nel 1947 Rosina Delrio e Gavino Musino giravano nelle colorite vie di L'Havana, forse in quel periodo la città più viziosa, vivace e affascinante del mondo. Mare, macchine di lusso, centinaia di casinò, bische, ristoranti, luoghi di perdizione, avventurieri e prostituzione. A Cuba comandavano i mafiosi americani, pezzi da novanta come Vito Genovese e Meyer Lansky, che ovviamente gestivano la prostituzione, il whisky, il gioco d'azzardo e gli hotel di lusso, come il Nacional. I turisti americani riversavano a L'Havana una montagna di soldi, mentre la maggior parte dei cubani faceva la fame e viveva delle briciole rimaste. Nell'isola caraibica imperava il corrotto dittatore Fulgencio Batista, una marionetta in mano agli americani.

In questa babele di contraddizioni Rosina e Gavino aprirono un ristorante, uno dei primi italiani a l'Havana. Era nella città vecchia, poco distante dall'Hotel Inghilterra. Zia Rosina, arredato con gusto, divenne meta ambita di turisti e di quei cubani facoltosi vicini a Batista. Anche Frank Sinatra ed Ernest Hemingway vollero assaggiare i prelibati piatti a base di pesce che Rosina aveva imparato a cucinare a Porto Torres.

La coppia turritana guadagnava soldi a palate. Il generale italiano nel 1950 se n'era andato in pensione ed era tornato in Italia, ma Rosina e Gavino rimasero a L'Havana. Lui era diventato un gestore di locali come pochi. Gentile e affabile con tutti, era un maestro nelle pubbliche relazioni. Al resto pensava lei, specie ai fornelli. Gli anni trascorrevano elettrizzanti, ma già nel 1957 le cose a Cuba stavano per cambiare. Alcuni amici dei servizi segreti di Batista, clienti del ristorante, avvertirono i due che a est del Paese c'erano delle persone che facevano sul serio e che a Cuba volevano cambiare tutto. Erano centinaia di uomini, capeggiati da un giovane avvocato di nome Fidel Castro e dai suoi luogotenenti Frank Pais, Ciro Redondo, Camilo Cienfuegos ed Ernesto Che Guevara. Quest'ultimo, un argentino di Rosario, stava diventando per i cubani una leggenda vivente: combattente spietato e coraggioso, era anche un medico e curava gratis tutti i contadini, insegnando loro a leggere e scrivere.

Forse Rosina e Gavino ebbero un sospiro di sollievo quando a dare la caccia ai rivoluzionari venne inviato Sanchez Mosquera, il più spietato degli ufficiali di Batista, motivato inoltre da un odio viscerale per Fidel e il Che. L'ufficiale si recò nella Sierra Maestra con duemila soldati, armati sino ai denti, e un treno blindato. Ma Rosina e Gavino non si fidarono e cominciarono a mandare pacchi di soldi ad amici fidati a Miami, in Florida. Furono molto avveduti e lungimiranti, perché Sanchez Mosquera venne sbaragliato clamorosamente dai ribelli, nonostante la supremazia numerica.

A Cuba e a l'Havana si scatenò il caos, tra i sostenitori di Batista si propagò autentico terrore. I giovani universitari, stanchi delle vessazioni, erano quasi tutti dalla parte di Fidel e infiammavano le piazze. Batista cercava di rassicurare i suoi padroni americani, ma il 30 dicembre 1958 Che Guevara e la sua brigata conquistarono Santa Clara. Cuba era spaccata in due, la strada per l'Havana oramai era spianata. In quella notte di festa e di tripudio nella capitale si concepirono migliaia di bambini, molti dei quali vennero chiamati Fidel. Batista e i suoi maggiori funzionari nel frattempo erano riusciti a fuggire precipitosamente, insieme ai mafiosi americani proprietari di casinò, sui quali pendeva già una condanna a morte.

Fidel Castro l'8 gennaio 1959 entrò da trionfatore a L'Havana: era il nuovo padrone di Cuba e assieme ai suoi fidati aveva deciso di instaurare un regime comunista. A Rosina e Gavino non interessava la politica, loro avevano pensato sempre al lavoro e non avevano quindi nulla da temere. Alla fine del mese di quel gennaio 1959, nel locale si sedettero a una tavolata una decina di uomini in verde oliva: erano ufficiali di Castro. Il conto venne pagato niente di meno che da uno dei capi della rivoluzione: Camilo Cienfuegos, sorridente come sempre. Il re della guerriglia fece i complimenti alla coppia e disse loro che non avevano nulla da temere, ma che d'ora in poi avrebbero dovuto lavorare per lo Stato, altrimenti il ristorante sarebbe stato requisito e loro espulsi. La coppia decise di rimanere. Cinque anni di lavoro per Fidel, con uno stipendio mensile che ai bei tempi avrebbero guadagnato in un'ora.

Rosina e Gavino nel 1964 decisero perciò di partire. Al regime castrista dissero solo per una settimana, ma quelli non se la bevvero, anche perché la coppia si presentò all'aeroporto Jose Marti con tre valigie piene di roba e di denaro. I servizi di Fidel tenevano da tempo sotto controllo Gavino e sequestrarono tutto, promettendo ai due di riconsegnare le valigie al loro rientro, ben sapendo che non sarebbero più tornati. Anzi, gli uomini di Fidel all'ingresso dell'aereo requisirono a Gavino un magnifico orologio che teneva al polso. Un affronto che l'uomo non dimenticherà per tutta la vita.

La coppia comunque negli Stati Uniti disponeva di una discreta somma di denaro, investita in un bel ristorante a Miami. Gli inizi non furono facili, ma poi quel locale anche in Florida divenne una bella realtà. Per lunghi decenni. Nacquero due figli, Antonello e Gianluigi. Ogni tanto Rosina e Gavino tornavano a Porto Torres a trovare parenti e amici e a raccontare dei bei tempi andati. Gavino a Cuba aveva lasciato il cuore e detestava profondamente Fidel Castro. Il ristoratore turritano giurava a tutti che un giorno avrebbe sputato sulla sua tomba. Invece morì qualche anno prima di lui, e così anche Rosina. I loro resti riposano in un elegante cimitero di Miami, a un tiro di schioppo da L'Havana e dal loro ristorante che avevano tanto amato. Uno dei loro figli, Gianluigi, ingegnere, è morto qualche anno fa per un infarto. L'altro, Antonello, è attualmente un funzionario del comune di Miami. Da quel lontano 1964 nessuno della famiglia Delrio ha rimesso piede a Cuba.

Argentino Tellini

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