Sua moglie è di Pabillonis, il piccolo Mattia cresce a Parigi ma le radici sarde non si dimenticano, il piacere di una sosta estiva a Macomer è irrinunciabile. Per tutto il resto, consultare la Guida Michelin 2019, quella francese. Perché accanto al nome di Simone Tondo, 31 anni da Macomer, c'è una stella. Sì, "quella" stella, il sogno di ogni chef. Il ristorante si chiama Racins, a proposito di radici.

Un traguardo conquistato in trasferta, come vincere una finale a casa della Juve. Lui, il più giovane chef straniero ad aver mai ottenuto una stella - un riconoscimento clamoroso - rivela: "Sapevo di essere sotto osservazione, ma questo mi è capitato dovunque sia stato".

Chef, benvenuto nel club degli stellati.

"Grazie, è un grande riconoscimento, ne sono consapevole".

Lo aveva capito che quelli della Michelin si interessavano a lei?

"Nel settembre scorso, un ispettore si è palesato dopo aver mangiato da noi, una lunga chiacchierata che mi ha fatto pensare di aver suscitato il loro interesse. Gli ispettori della Guida sono stati tre, ma due di loro non li ho mai visti".

Il suo Racins è un'osteria, un ristorante italiano o qualcosa di poco definibile?

"Direi un'osteria, non ci sono piatti legati a un Paese, piuttosto io lavoro i prodotti del mercato e faccio le mie scelte, rispettando di ciò che offre la stagione".

Quanto pesa quel quadretto che all'ingresso del ristorante informa della stella della Rossa?

"La stella ha ancora un valore internazionale, per il pubblico che ruota attorno a questo sistema ha sempre un certo peso. Diciamo che è una specializzazione dopo la laurea, ma non tutti ci arrivano a quella specializzazione".

Sacrifici, mezzi, talento, lavoro. Come si arriva nel gradino più alto a 31 anni?

"Le dinamiche sono tantissime. Può dipendere dall'ambiente, dal luogo dove lavori, dalle persone che gestiscono il ristorante e che assecondano la tua testa. Non basta avere splendide tovaglie o una cantina di solo Bordeaux, perché arrivi una stella. Io non ho fatto nulla di ciò, ho solo guidato un'osteria".

Mangiare da Racins.

"I prodotti che il mercato ci offre, carne, pesce e verdure francesi. Prodotti italiani? Il mascarpone di Cesena per il tiramisù, i capperi di Bonsignore, una cantina con il 90% di vini italiani biologici. Puoi trovare il tonno fresco a pranzo o le capesante crude a cena".

A chi dire grazie?

"Alla mia famiglia, agli amici. Dopo aver lavorato da Cristiano Andreini e per una stagione da Roberto Petza, sono partito dalla Sardegna nel 2008 per andare da Mauro Colagreco a Mentone (che ieri ha preso la terza stella), poi uno stage da Cracco a Milano, prima di sbarcare in Francia. Andreini mi ha formato, tutti mi hanno permesso di appassionarmi".

La piazza di Parigi che omaggia un italiano...

"Era già successo per l'Armani caffè, ma questo è un altro genere di locale. Fino a oggi, sono il più giovane straniero".

Quanta Sardegna c'è nella sua cucina?

"Poca. Più che altro sono gli odori che cerco di mantenere, come il finocchietto selvatico al quale non rinuncio mai. Non posso fare a meno, per esempio, di un pecorino di Macomer, quello di Bussu, azienda che nonostante sia del mio paese di nascita, non conosco. Un Fiore sardo dop straordinario".

Dia un consiglio ai tanti giovani chef che sognano di poter arrivare in alto.

"Guardate le persone, alla base c'è il rapporto umano. Il confronto porta sempre a qualcosa, cercate dei maestri".

Enrico Pilia
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