Nel corso della settimana appena trascorsa, la Corte di Strasburgo, secondo quanto appreso dai più importanti organi di stampa, avrebbe stabilito che le vaccinazioni obbligatorie potrebbero, e dovrebbero, essere considerate necessarie nelle società democratiche. In particolare, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, avrebbe, come di fatto ha, espresso siffatto principio (invero per nulla nuovo se solo si voglia ricordare il caso cosiddetto “Solomaikhin v. Ukraine” del 15 marzo 2012), nel decidere un ricorso presentato da talune famiglie ceche avverso l’obbligo vaccinale disposto dallo Stato contro le malattie infantili “ben note alla scienza medica, ovvero difterite, tetano, pertosse, infezioni da Emofilo dell’influenza di tipo b, poliomielite, epatite b, morbillo, parotite, rosolia e – per i bambini con specifiche indicazioni di salute - pneumococco”. E tanto o, meglio, tanto poco, visto e considerato lo specifico riferimento alle vaccinazioni obbligatorie per l’infanzia relativamente a patologie ampiamente studiate dalla scienza medica nella loro complessità e nelle loro implicazioni, sembrerebbe essere bastato agli esperti per sostenere, sempre secondo quanto abbiamo appreso dagli accortissimi “media”, che la ridetta pronuncia potrebbe avere anche implicazioni determinanti per qualsiasi decisione in materia di vaccinazione, fosse anche relativamente al Covid-19.

Ebbene. Per quanto una tale evenienza possa essermi, in linea di principio, estremamente gradita, e per quanto io continui a sostenere imperterrita l’importanza della vaccinazione obbligatoria “erga omnes” in tempo di pandemia, nel caso di specie, sento purtroppo la propensione a contenere l’entusiasmo, giacché ogni sentenza, e quelle della Corte di Strasburgo non vi fanno davvero eccezione, è calibrata sullo specifico caso esaminato, sicché il relativo principio di diritto andrebbe letto ed interpretato, sia pure “analogicamente”, solo con puntuale riferimento all’ipotesi decisa e/o, eventualmente, ad altre di attinente consistenza fattuale, circostanziale e, naturalmente, teorica.

Intanto, perché la materia trattata, ossia quella relativa alla obbligatorietà vaccinale in genere, è da sempre stata, e continua ad essere anche nell’attualità, finalisticamente inserita nel contesto paludoso di una annosa “querelle” ideologica, politica, ed umano-sociologica, che, proprio in ragione dell’intensità degli interessi coinvolti, e della loro rilevanza a livello normativo-costituzionale, non accenna a mostrare profili definitori utili e contorni netti. Quindi, perché il nostro ordinamento, eccezion fatta per il recentissimo disposto contenuto nell’articolo 4, comma 1, d.l. numero 44 del 1° aprile 2021 relativo agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario, non sembra prevedere, per quanto mi consta, alcun altro obbligo vaccinale a carico della popolazione adulta. Inoltre, perché l’Assemblea del Consiglio d’Europa, in ossequio al principio di autodeterminazione dei singoli, sembra avere, come di fatto ha, recentemente approvato una Risoluzione proprio avverso l’introduzione, da parte dei singoli Stati Membri, dell’obbligo vaccinale anti Covid-19 caldeggiando, piuttosto, e per converso, la promozione di una intensa campagna di informazione votata alla trasparenza e finalisticamente orientata a favorire l’adesione consapevole e volontaria dei singoli alla pratica vaccinale anti Covid-19. Poi, perché, generalmente, sussiste una certa difficoltà nel trarre dalla giurisprudenza casistica della Corte Europea indicazioni vincolanti per gli Stati che siano idonee ad assumere il carattere della “generalità” e della “astrattezza”, giacché, secondo quanto acutamente ha osservato a suo tempo Zagrebelsky, “la Corte europea applica un diritto europeo, maneggiando e creando un diritto che non origina dall’opera dei parlamentari e non trova in ciò la propria legittimazione” (cfr. “La Corte europea dei diritti dell’uomo dopo sessant’anni. Pensieri di un giudice a fine mandato”, in Il foro italiano, 7-8, V, 2012). Infine, perché, con specifico riferimento all’Italia, di certo si può affermare che proprio in materia di obbligatorietà vaccinale, non dobbiamo sicuramente attendere una pronuncia della Corte di Strasburgo, dal momento che sulla legittimità dell’obbligo vaccinale è intervenuta a più riprese la stessa Corte Costituzionale, la quale, dal canto suo, ha sempre confermato la coerenza ordinamentale dell’obbligo vaccinale come espressione del dovere di solidarietà, nonché la compatibilità dell’obbligo medesimo con l’articolo 32 della Carta Costituzionale, siccome mirante a proteggere la salute non solo di chi si trovi ad esservi gioco forza assoggettato, ma anche dell’intera collettività: “il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri” (cfr. sentenza Corte Costituzionale 22 giugno 1990 n. 307, numero 2 del “considerato in diritto”).

Innegabilmente l’argomento è tra i più caldi del momento, e le decisioni finora intraprese e praticate, anche a livello nazionale, sembrano fondarsi più su ragioni di stampo politico-ideologico che su ragioni di stampo giuridico. Il che non deve sorprendere siccome, per un verso, il cosiddetto diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, si caratterizza per la sua articolazione necessariamente e doverosamente “binaria”, ossia per il suo essere, contestualmente, sia “diritto fondamentale dell’individuo”, sia “interesse della collettività” e siccome, per altro verso, proprio questo imprescindibile dualismo impone tanto per il legislatore, quanto per l’interprete, il dovere di realizzare un continuo e faticosissimo bilanciamento tra esigenze individuali, per loro natura molteplici e contraddittorie, ed esigenze generali. In un contesto siffatto, peraltro, nessuno spazio possono trovare posizioni estreme riflettenti tendenze strumentali comunemente riferibili a fenomeni di cosiddetta “obiezione di coscienza”, le quali, per loro stessa natura, si rivelano del tutto idonee a compromettere l’interesse collettivo alla salute, giacché, come osservato dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza 134 del 1988, chiunque si opponga alle vaccinazioni generalmente ragiona ed opera in forza di considerazioni metagiuridiche, contrapponendo forzosamente ad una legge finalizzata a tutelare la salute pubblica un “generico e soggettivo convincimento della sua inopportunità”.

Personalmente, considerata la indiscutibile complessità del quadro normativo di riferimento, ritengo che la tutela del diritto alla salute, nella situazione pandemica contingente, dovrebbe essere orientata al pieno rispetto del “principio di solidarietà” il quale, nel complesso ed articolato processo di bilanciamento tra libertà individuale ed interesse collettivo, deve trovare la forza di prediligere quest’ultimo sempre e comunque, fermo restando che la circostanza che sussistano i parametri giuridici per “obbligare” tutta la popolazione a vaccinarsi non significa che questa sia ideologicamente la scelta più giusta, dovendo essere ricondotta, qualsiasi forma di obbligo, ai criteri precauzionali e prudenziali della “extrema ratio”.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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