«È meglio sgombrare subito il campo da un equivoco in cui di solito si incorre quando ci si confronta con disturbi di questo genere: la stitichezza non è una malattia ma un sintomo, e con questo termine spesso si definisce una condizione caratterizzata da una riduzione (non sempre reale) del numero delle evacuazioni, da un’evacuazione di feci dure e dalla difficoltà in generale a evacuare».

Il professor Paolo Usai, direttore dell’Unità complessa di gastroenterologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, spiega con grande precisione quali siano la natura e l’incidenza di una tale patologia: «È più frequente nelle popolazioni dei paesi industrializzati, in cui la prevalenza stimata è del 2%, con una frequenza maggiore nelle donne e negli anziani.

Per questi ultimi si tratta di un problema frequente e in percentuali molto elevate (15-30%); il 50-74% degli ospiti delle case di riposto assume appunto lassativi, e bisogna tener conto del fatto che l’ospedalizzazione costituisce un fattore di rischio fino al 40% dei casi, esponendo anche al rischio che si formino, durante il ricovero, dei fecalomi, masse dura di feci che si formano negli ultimi tratti dell’intestino e possono provocarne l’ostruzione».

«Bisogna annoverare senz’altro - prosegue il professor Usai - la riduzione della motilità intestinale, la debolezza della muscolatura addominale, l’assunzione di farmaci (antidepressivi, antispastici, antiepilettici), l’allettamento e prolungati periodi di immobilità. La stitichezza può essere un sintomo di alcuni disturbi come la sindrome del colon irritabile, la depressione o l’effetto collaterale dei farmaci utilizzati nel suo trattamento: condizioni neurologiche come la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson o la neuropatia diabetica.

La stitichezza, quando compare come modificazione delle abitudini intestinali (soprattutto nell’adulto), o quando si associa alla presenza di sangue nelle feci, oppure a una storia familiare a rischio per tumori o malattie infiammatorie intestinali, deve essere interpretata come un segnale di allarme e quindi valutata con un protocollo diagnostico che comprenda come primo esame la colonscopia.

Quando la stitichezza non è secondaria a patologie come quelle sopra indicate si definisce stitichezza funzionale, e può manifestarsi in individui con transito intestinale normale, rallentato o perché la fase espulsiva è alterata. Si parla in questo caso di stitichezza da defecazione ostruita».

«La valutazione proctologica, l’endoscopia e alcuni esami come la manometria anorettale e la defecografia possono essere utili nella identificazione delle cause», sottolinea Usai. «Un’indagine efficace per la sua identificazione è lo studio del transito del colon con anelli radiopachi, considerando come punto fermo che la diagnosi e il trattamento della stitichezza devono essere sempre personalizzati.

Inoltre, i lassativi o i farmaci che stimolano la motilità del colon, utili nel trattamento della stipsi da rallentamento, non lo sono per la stitichezza da defecazione ostruita, di norma trattata con la correzione delle errate abitudini di evacuazione.

In questi casi la riabilitazione è fondamentale e si avvale del biofeedback, della chinesiterapia pelvi-perineale e dell’elettrostimolazione anale.

Tuttavia è importante ricordare che per la maggior parte delle persone sono sufficienti strategie che permettono di regolarizzare la funzionalità intestinale, come una corretta alimentazione, uno stile di vita attivo e l’adozione di misure per il controllo dello stress».
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