Cosa ci sta insegnando questa epidemia? Principalmente che la prevenzione continua ad essere lo strumento principale per combatterla. Che anche nella nostra modernità le terapie ed i vaccini arrivano molto dopo. E che dovremmo continuare ad usarli. Certo, abbiamo imparato ad usare meglio alcuni farmaci e quelle che possiamo chiamare terapie di supporto, mentre il virus continua a circolare.

So bene che stiamo cercando di mettere in campo le migliori energie, ma dobbiamo sapere che pensare solo alle emergenze quotidiane non ci porta lontano, cosa che purtroppo facciamo da troppi anni. Dobbiamo avere un pensiero che dia prospettive di crescita alla nostra società e migliori il servizio sanitario. Saper fare due cose, pensare al futuro e correre dietro le emergenze, è difficile. Ma se non siamo capaci di farlo la nostra sanità costerà troppo, non sarà di buon livello ed il futuro sarà incerto. Chi dovrebbe pensare e costruire il nostro futuro? Compito gravoso per il quale serve, per iniziare, quella modestia che spesso non dimostrano i nostri politici, ma che tra noi medici e scienziati vuol dire ascoltare il pensiero degli altri e non aver vergogna di far riferimento a chi ha competenze riconosciute.

Il futuro però è difficile da costruire, ma parti di esso sono già presenti. GPT-3, "Generative Pretrained Transformer", è un generatore di linguaggi di OpenAI. Fa parte di una più ampia famiglia di metodi di apprendimento automatico nell'ambito della Intelligenza Artificiale. A GPT-3 è stato chiesto di scrivere un breve editoriale di circa 500 parole, con un linguaggio semplice e conciso e spiegare perché gli esseri umani non hanno nulla da temere dall'intelligenza artificiale. The Guardian ha pubblicato l'articolo scritto da GPT-3 col titolo "Un robot ha scritto l'intero articolo. Sei ancora spaventato, umano?"

Non so se ci è chiaro il tutto, ma GPT-3 ha aperto la porta alla automazione industriale della produzione semantica. Tutto ciò ci interessa da vicino perché l'Intelligenza Artificiale è entrata a piene mani nella medicina. La nostra è ancora una sanità analogica e dobbiamo costruire le basi per portarla verso il digitale. Le basi sono, è inutile ripeterlo, la conoscenza approfondita dello stato di salute di ciascun nostro concittadino, scritta su un formato digitale. Pensate come ci sarebbe stata utile in questa epidemia. Avremmo saputo fin dai primi sintomi la storia clinica del paziente. E conoscendo la complessità avremmo saputo stabilire il suo percorso clinico. In ospedale o a casa. A casa come? Si chiama DocDot. È un app che usa la pulsimetria dei vasi del volto con la fotocamera dello smartphone. Può misurare la frequenza cardiaca, le variazioni del battito, la frequenza respiratoria e la saturazione di ossigeno. Tutti i parametri possono essere inviati al medico curante, online. Pensiamo per un momento all'Africa. Ad un paziente con la febbre in un villaggio, una goccia del suo sangue viene posta su un vetrino e colorata per poter vedere solo il parassita malarico. Si apre Lifelens, una app per smartphone e si scatta una foto del vetrino col telefono che è dotato di una lente di ingrandimento. La foto viene spedita al centro medico che nel giro di qualche minuto fa la diagnosi. È possibile eseguire una ecografia polmonare a casa del paziente con una sonda che invia l'immagine ad un tablet. Non servono radiologi ma medici che hanno fatto un tirocinio idoneo e possono far diagnosi di polmonite. Il futuro è già qui. E noi?

Antonio Barracca

(medico - Cagliari)
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