Arrivare presto. La prima regole in caso d’infarto è non perdere tempo e giungere prima possibile dove si possono fare le cure, per ridurre il rischio di danni gravi al cuore. Poi ci vuole la giusta riabilitazione e soprattutto occorre tenere sotto controllo adeguatamente i fattori di rischio, come fumo, colesterolo, pressione e peso. Se ci sono chili in eccesso, quelli che portano la classica “pancetta” il medico indica una dieta che va seguita. Meglio però se chi ha un partner segua le regole alimentari in compagnia, perché così perdere peso è più semplice. A dirlo, dal Congresso della Società europea di Cardiologia (ESC) è una ricerca olandese, che conferma come la prevenzione di coppia, anche per altri vizi come il fumo, può diventare molto più efficace per chi soffre di cuore. Lo studio ha interessato più di 800 persone colpite da infarto: nel primo alle cure classiche si è aggiunto un programma di sane abitudini, nel secondo si è proceduto solo con le terapie. Chi seguiva norme positive con il partner c’era più del doppio delle possibilità di miglioramento per le abitudini dannose, come la sedentarietà. A tavola, affrontare in due la necessità di calare di peso significa avere la possibilità di migliorare la situazione quasi di tre volte in più, in confronto a chi sta a tavola da solo. Una buona notizia viene dalla ricerca italiana che ha presentato lo studio Dubius che ridefinisce nuovi standard di trattamento e prognostici della forma più frequente d’infarto, quella in cui l’arteria non è completamente ostruita: interessa circa 80.000 persone l’anno nel nostro Paese, di cui oltre 50.000 sono trattate con il posizionamento di stent, condotto che tiene "dilatata" l’arteria. Secondo Giuseppe Tarantini, presidente del GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica) «una strategia invasiva, entro le 24 ore dall’evento e con approccio radiale (cioè all’altezza del polso) incide sui risultati più di quanto faccia la tempistica della terapia farmacologica e rende superflua l’annosa discussione sulla necessità di un trattamento antiaggregante prima o dopo (in alcuni casi) della rivascolarizzazione».

Federico Mereta
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