L'evoluzione e la terapia più appropriata per affrontare il coronavirus è qualcosa già stabilito dai medici cinesi, ecco perché "è poco comprensibile il disordine emerso in questi mesi sulla terapia della sindrome da COVID-19". A dirlo è Antonio Macciò, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Ginecologia Oncologica dell'Azienda Brotzu di Cagliari, abilitazione scientifica nazionale anche in Ematologia, autore di numerose pubblicazioni sulle più note riviste scientifiche internazionali.

"Una pubblicazione sulla rivista scientifica JAMA - spiega Macciò - dimostra che la malattia principalmente ha un comportamento differente tra i vari soggetti, evolve in stadi ed è caratterizzata, quindi, dalla presenza di soggetti asintomatici, paucisintomatici e con sintomatologia ingravescente sino alla morte. Gli studiosi cinesi hanno, inoltre, evidenziato che l'evolversi della malattia è caratterizzato da una tempesta di citochine infiammatorie e hanno individuato il principale responsabile dei sintomi della sindrome da COVID-19 nell'Intereleuchina-6. Di questa citochina si conoscono perfettamente le sue capacità immunomodulanti e, quando presente in quantità elevata, i sintomi ad essa correlati, primo tra tutti la coagulazione intravascolare disseminata e la trombosi. L'interleuchina-6 è responsabile inoltre, con altre citochine, della comparsa di febbre, anoressia, anemia, danno del tubulo renale e disturbi della coscienza".

Quindi, aggiunge Macciò, la terapia più efficace è già presente negli ospedali italiani: "I ricercatori cinesi hanno ben chiarito che la più efficace terapia nel combattere le forme gravi e severe è l'uso di corticosteroidi e antiossidanti. È inderogabile, e da tempo noto, in particolare negli ambienti che studiano il cancro dell'ovaio, l'uso dell'eparina a basso peso molecolare. Deve essere precisato che il cancro dell'ovaio costituisce un modello sperimentale unico per lo studio degli effetti da Interleuchina-6 e che le informazioni sull'associazione tra alti livelli di IL-6 e linfopenia, e quindi immunodepressione, sono noti da tempo".

I nuovi farmaci a target molecolare ad azione immunosoppressiva simile a quella del cortisone, quindi, possono essere altrettanto se non più efficaci ma ad un impatto economico notevolmente superiore.

Inoltre, uno studio cinese ha dimostrato che i valori di Proteina C reattiva e del "rapporto neutrofili/linfociti", noto come indice di infiammazione immunitaria sistemico, rappresentano i parametri più importanti per il monitoraggio della malattia e la gestione del trattamento. "Gli autori - sottolinea il medico sardo - indicano che i pazienti con un rapporto neutrofili/linfociti superiore a 3.13, se hanno un'età superiore ai 50 anni, dovrebbero essere trasferiti in unità di terapia intensiva, mentre pazienti con un rapporto neutrofili/linfociti inferiore a 3.13 e di età inferiore ai 50 anni, potrebbero essere isolati a casa e gestiti con sorveglianza attiva o in altri reparti ospedalieri dedicati. In tal modo si potrebbero alleviare/migliorare le insufficienti risorse mediche, in particolare delle terapie intensive".

In sostanza, conclude Macciò, i parametri sono già stati forniti dai medici cinesi: "Servono competenze certificate e idee chiare, non rincorrere il virus e cercare farmaci miracolosi e in ordine sparso".

(Unioneonline/s.s.)
© Riproduzione riservata