"Quella di ieri è una sconfitta netta, che ci impone di aprire una pagina nuova all'interno del Pd. Per questo è ovvio che io mi dimetta".

Così Matteo Renzi annuncia le dimissioni all'indomani della batosta elettorale subita dal Partito Democratico. Dimissioni che saranno operative solo dopo l'insediamento del nuovo Parlamento e la formazione del nuovo governo.

Il segretario rivendica, "orgoglioso", lo "straordinario lavoro di questi anni". Un lavoro "strepitoso", ma una sconfitta "altrettanto chiara ed evidente".

Il simbolo della sconfitta secondo Renzi è il collegio di Pesaro: "Qui il centrosinistra ha candidato un ministro (Minniti, ndr) che ha fatto uno straordinario lavoro sulla questione dell'immigrazione, un lavoro che gli viene riconosciuto anche dagli avversari. Eppure a Pesaro ha vinto Cecconi, il candidato dei 5 Stelle che non ha fatto campagna elettorale perché definito impresentabile dallo stesso M5S. È riuscito ad avere la meglio contro ogni valutazione di merito".

IL NUOVO PARLAMENTO - "Chi ha vinto politicamente le elezioni non ha i numeri per governare", osserva il segretario, ed è qui che si toglie qualche sassolino dalle scarpe. "Chi è intellettualmente onesto dovrebbe riconoscere che questo problema nasce dal referendum sulla riforma costituzionale: chi si è opposto a quella riforma oggi è vittima di se stesso e dei propri marchingegni". Poi boccia l'ipotesi - circolata nelle ultime ore - di un possibile appoggio dem a un esecutivo guidato da Di Maio: "Non faremo mai accordi".

LE DIMISSIONI - E proprio per garantire ciò che ha promesso per tutta la campagna elettorale, ovvero "mai accordi con gli estremisti", le dimissioni di Matteo Renzi saranno effettive solo "al termine dell'insediamento del nuovo Parlamento e della formazione del nuovo governo". Annuncia di aver già chiesto al presidente del partito Matteo Orfini di convocare l'assemblea nazionale per dare il via a una nuova fase congressuale: "Non si può evitare un confronto vero su quanto accaduto in questa campagna elettorale, in questi mesi e in questi anni. Ci vuole un congresso serio e risolutivo e un segretario eletto dalle primarie, che possa poi realizzare ciò per cui è stato eletto". Per questo, "nessun reggente scelto da un caminetto".

Il presidente Matteo Orfini, sarà lui a gestire la delicata fase congressuale
Il presidente Matteo Orfini, sarà lui a gestire la delicata fase congressuale
Il presidente Matteo Orfini, sarà lui a gestire la delicata fase congressuale

L'ERRORE PRINCIPALE - "Il nostro errore è stato non capire che bisognava votare in una delle due finestre del 2017 in cui si poteva imporre un'agenda europea", ha spiegato l'ex premier. "Se avessimo votato in quel passaggio, quando ci sono state le elezioni in Francia e Germania, l'agenda politica sarebbe stata incentrata sull'appartenenza alla Ue. Noi non abbiamo colto l'opportunità e in questa campagna elettorale siamo stati troppo tecnici. A questo si somma un vento estremista, da qui questo risultato molto deludente". Per quanto riguarda il suo futuro, nessun problema: "Farò il senatore".

SCONTRO INTERNO - E sulle dimissioni "congelate" dell'ex premier si apre lo scontro interno al partito. Il primo a commentarle è il presidente dei senatori Pd Luigi Zanda: "La decisione di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile, serve solo a prendere tempo". E ancora: "Annunciare le dimissioni e insieme rinviarne l'operatività per continuare a gestire il partito e i passaggi istituzionali delle prossime settimane è impossibile da spiegare. Quando Veltroni e Bersani si sono dimessi lo hanno fatto e basta, un minuto dopo non erano più segretari". E pare che anche Andrea Orlando e Dario Franceschini si siano messi di traverso.

(Unioneonline/L)

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