Inizia a fare politica nel 1992, un anno nero per l'Italia: la mafia uccide i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nella sua Sicilia, straziata, assieme a tutto il Paese, da una violenza cieca e feroce, il giovane Davide Faraone, oggi 45enne, si avvicina al mondo del volontariato e all'associazionismo studentesco impegnandosi nelle periferie palermitane.

Eletto nel 2001 e nel 2007 consigliere comunale, dal 2009 è stato capogruppo del Pd al Comune di Palermo. Sempre nelle file del Pd, è stato eletto all'Assemblea regionale siciliana, e nel 2013 alla Camera dei deputati.

Componente della segreteria nazionale di Matteo Renzi, tra gli organizzatori della Leopolda, nel 2014 è stato nominato Sottosegretario di Stato al Miur con il governo Renzi e nel 2016 Sottosegretario alla Salute con il governo Gentiloni.

Rieletto senatore ancora nel 2018 Davide Faraone è uno dei fondatori di Italia Viva, la creatura di Matteo Renzi determinante per la caduta del Governo Conte bis e l'ascesa a Palazzo Chigi di Mario Draghi.

Senatore Faraone, l'ex premier Giuseppe Conte ha sottovalutato l'azione di Italia Viva?

"Ha sbagliato quando ha deciso di non ascoltare cosa avevamo da dire e ha pensato di 'asfaltarci', termine usato dall'allora portavoce Casalino e lontano anni luce dal mio vocabolario. La politica è ascolto, mediazione, compromesso, a Conte è mancato tutto questo. Noi abbiamo portato avanti le nostre idee e le nostre battaglie in ogni vertice e riunione, impedendo che aumentassero le tasse e che ci fossero chiusure punitive e assurde, pensando ai lavoratori, ottenendo lo sblocco dei cantieri ed evitando che il Recovery Plan finisse nelle mani di una task force: il Parlamento e le istituzioni rischiavano di essere mortificate dall'azione centrifuga di un presidente che aveva chiaramente perso la bussola".

Quando ha capito che Mario Draghi sarebbe diventato veramente il presidente del Consiglio?

"Durante la fase dell'incarico esplorativo affidato al presidente della Camera Roberto Fico. Ho partecipato a tavoli che giravano in tondo sulle questioni aperte, per ore e per giorni. Era chiaro che una maggioranza su Conte non c'era più, troppi i nodi irrisolti e troppo ampie le distanze di vedute. E poi quando ci hanno proposto la stessa identica squadra di ministri a partire dalla Azzolina fino a Bonafede. Ci ha pensato il presidente della Repubblica a riconoscere il fallimento di questo estremo tentativo segnando la fine del Conte bis: dobbiamo a Mattarella la nascita del governo Draghi e l'indicazione di un perimetro di maggioranza ampio. Peccato per chi, mettendosi all'opposizione di questo governo, si mette contro l'Italia".

Appena nominato, l'effetto Draghi ha dato risultati straordinari sullo spread e in borsa. Quanto durerà?

"La migliore prospettiva finanziaria può far tornare gli investitori a scommettere sul nostro Paese, con il debito pubblico che ci ritroviamo questo può fare davvero la differenza. La credibilità internazionale di Draghi è un fattore che cambierà in positivo le nostre prospettive di crescita. Bisogna ridare fiducia agli italiani e portarli a spendere i 160 miliardi di euro risparmiati durante la pandemia, azzerare la burocrazia e avviare i cantieri per 120 miliardi di opere pubbliche, infine investire i 209 miliardi del Recovery Plan".

Quali sono le prime sfide del nuovo governo?

"Tre scadenze che fanno tremare i polsi. 1 marzo scadenze fiscali: va trovata una soluzione che non faccia travolgere i nostri imprenditori. 1 aprile scadenza blocco licenziamenti: non serve solo prorogare, occorre una riforma degli ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro. 1 luglio scadenza della moratoria per i finanziamenti ricevuti dalle aziende voluta da Italia Viva: anche qui andrà trovato un sostegno per le imprese, se muore il nostro sistema produttivo muore il Paese. E infine una seria campagna vaccinale, unico antidoto alle chiusure e unica medicina per la ripartenza".

Un successo personale anche di Matteo Renzi l'arrivo di Draghi a Palazzo Chigi?

"Il nostro merito in questa vicenda è sotto gli occhi di tutti: siamo stati determinati e determinanti nel segnare la fine del governo Conte e delle sue incertezze, con i nostri diciotto senatori - e mi faccia citare il vicecapogruppo Giuseppe Luigi Cucca, senatore sardo capace, appassionato, competente e sempre in prima linea per portare avanti le istanze della vostra bellissima terra - abbiamo fatto la differenza. Abbiamo avuto la lucidità di comprendere prima degli altri che era necessario un cambio di passo e che la popolarità non fa rima con la capacità di governare. Matteo è persona che ha a cuore il Paese e lo ha dimostrato. Il riconoscimento principale di questa operazione va comunque al presidente Mattarella che ha avuto la lungimiranza di creare un percorso rapido che ha portato alla formazione quasi istantanea di un nuovo governo".

È stato uno dei promotori della prima legge sull'autismo in Italia e della legge sul "Dopo di Noi". Come vede il nuovo ministero dedicato alla disabilità?

"Ben venga tutta l'attenzione in più a una questione che con la pandemia sta diventando un'emergenza sociale. I ragazzi con disabilità sono stati tra i più penalizzati dalla chiusura delle scuole: la didattica a distanza non è possibile per molti di loro e la reclusione domestica ha, in molti casi, acuito le sofferenze delle famiglie. Le tematiche della disabilità sono trasversali, non basta un ministero. Bisogna seguire le persone con disabilità e le loro famiglie in un percorso continuo e costante che passa per l'intera vita, dalle scuole al lavoro, pensando anche, come abbiamo fatto quando eravamo al governo, al 'dopo di noi'".

L'ultimo suo libro "Con gli occhi di Sara. Un padre, una figlia e l'autismo" edito da Rubettino, è il racconto del rapporto con sua figlia Sara, attraverso una narrazione intima. Che esperienze di padre e uomo politico trova il lettore in questo suo lavoro?

"Ho scritto questo libro perché ne avevo bisogno. Anzi, perché io e Sara ne avevamo bisogno. Bisogno di condividere, di essere capito, di capire gli altri, tutti gli altri che vivono l'esperienza di una paternità non più difficile o meno bella, soltanto meno comune. Ho imparato da mia figlia a non avere paura, perché è normale averla, e quindi a metterla via. Quando sai questo sai anche che cosa sono il coraggio, la libertà, la bellezza. E sai anche che una famiglia non è solo quella con cui ti ritrovi la sera sotto lo stesso tetto ma una comunità di persone che si riconoscono e trovano identità e destini condivisi. Nessuno, ma proprio nessuno, si salva da solo".

L.P.
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