"Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo". L’appello del Presidente Sergio Mattarella ha il sapore piccante di un imperativo categorico. Un imperativo forse indigesto per i diretti interessati, ma certamente necessario nell’ottica, per un verso, di evitare le elezioni anticipate e, per l'altro verso, di riuscire ad assolvere all'impegno assunto con la Commissione Europea in relazione alla presentazione del piano di spesa relativo alla gestione dei 209 miliardi di euro assegnati all’Italia dall'Unione Europea.

Cosa abbia voluto significare con la locuzione generica di "governo di alto profilo" ancora non è dato sapere, ma potremo bene immaginarlo se ponessimo quale caposaldo alla base della riflessione l’intervenuta consapevolezza della inadeguatezza di un "sistema" dirigenziale divenuto autoreferenziale, mistificatore e, soprattutto utile solo ad assicurare la propria sopravvivenza improduttiva sul piano istituzionale. Per questo motivo, all’esito della constatata impossibilità di creare un nuovo esecutivo politico da parte dei partiti che formavano la vecchia maggioranza di governo giallo-rossa, il Presidente della Repubblica si è determinato nel senso di affidare all’ex Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, l’incarico di formarne uno istituzionale decretando, per ciò stesso, la sconfitta di una intera classe politica decadente e del tutto incapace sul piano risolutorio.

Ma lasciando da parte gli ingenui entusiasmi, che in questo momento lasciano per davvero il tempo che trovano, e tralasciando, altresì, il sentimento di compiacimento e la stima indiscussa nei confronti di un uomo e di un professionista di primo piano, è appena il caso di sottolineare che, comunque, il suo quasi certo incarico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri rappresenta, dal mio punto di vista, l’espressione di un epilogo tragico, purtroppo annunciato e poco edificante, che nel lungo termine non riuscirà ad assicurare al Paese i "benefici" sperati né a restituirgli la necessaria credibilità sul piano internazionale.

Infatti, sebbene la scelta di Mario Draghi sia idonea ad incidere positivamente nel settore imprenditoriale e finanziario e ad ottenere, proprio per questo, con buona approssimazione e verosimiglianza, anche un ampio consenso parlamentare, tuttavia, non mancherà di provocare gravi spaccature all’interno non solo delle due grandi coalizioni nella loro articolazione unitaria, il cui “assetto permanente” ha sempre ostacolato l’evoluzione endogena delle sue componenti in nome di una “comunione di intenti” esistente unicamente nell’immaginario ideologico di partenza ma non nell’azione pragmatica e programmatica, ma anche all’interno dei singoli partiti che le compongono i quali, a ben considerare, potrebbero rischiare l’implosione siccome schiacciati da scelte comuni di cosiddetto “adeguamento” spersonalizzante accettate unicamente in nome di una non troppo convincente opzione obbligata di opportunismo politico asseritamente “responsabile”. E che difficilmente potrà, nel prossimo futuro, garantire la efficienza pratica e razionale di un “governo nella pienezza delle sue funzioni”, per impiegare una espressione cara al Presidente Sergio Mattarella.

Ma, al di là delle riflessioni appena maturate, ci siamo chiesti cosa significhi davvero per tutti noi l’arrivo di un tecnico alla guida del “governicchio arcobaleno aliunde imposto” il quale si presenta come una tiepida “organizzazione” (si perdoni l’adattamento forzoso del termine) istituzionale assai differente rispetto a quella di un vero “governo politico di unità nazionale” frutto di un indirizzo ragionato e consapevole dei vari partiti assunto all’esito di un confronto ideologico sui temi e sull’azione da portare a compimento? Ci siamo chiesti se lo stesso Super – Mario, al di fuori del suo contesto economico di elezione, riuscirà a gestire un parlamento tanto eterogeneo e poco ortodosso? Lo abbiamo capito, oppure no, che se il Governo Draghi dovesse realmente vedere la luce, la vera “tough opposition” maturerà in seno alla stessa eterogenea “maggioranza arcobaleno” con tutte le distorsioni che ne conseguiranno sul piano decisionale e non solo per soddisfare una insaziabile sete di controllo dell’indirizzo politico all’interno dei vari ministeri? Personalmente, ho come l’impressione che una riflessione seria sul significato di quello che sarà gioco-forza un ulteriore “governo tecnico” a senso unico “rafforzato”, formato da “personalità di alto profilo” in termini di competenze spendibili al servizio della nazione, non sia stata mai portata avanti soprattutto da parte della attuale classe dirigente, la quale, nel corso della settimana appena trascorsa, eccezion fatta per la Leader di Fratelli d’Italia, ha dimostrato fin troppa disinvoltura nell’accedere quasi acriticamente all’invito adesivo, siccome formulato dall’alto, sol per poter, per così dire, continuare a partecipare a non meglio precisati “giochi di palazzo” di sicura contrapposizione ideologica.

Mi domando tuttavia, e con buona pace dei nostri rappresentanti in Parlamento: è vero o non è vero che se queste “personalità di alto profilo” fossero state già presenti tra gli inquilini di Palazzo Montecitorio, oggi non ci saremo ritrovati ad essere incagliati in un contesto governativo tanto allarmante quanto di difficile esito anche nei termini strettissimi di una gestione “comandata” per dover essere necessariamente e doverosamente “pilotata” dall’alto?

Le risposte a tutti questi interrogativi finora formulati, a me paiono, sinceramente, direttamente conseguenti soprattutto laddove si decida di rinvenire un punto di accordo nel ritenere che dovrebbe essere escluso qualsiasi capriccio tecnocratico con riferimento ad un elemento istituzionale (il Governo, si intenda, quale vertice dell’apparato amministrativo) che dovrebbe, come di fatto deve, in tempi di normalità, tutta la sua legittimazione esclusivamente al consenso del corpo elettorale.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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