Se il presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, al termine del Consiglio Europeo tenutosi in videoconferenza il 19 giugno scorso, avente carattere meramente interlocutorio, ha affermato fiducioso su Twitter che “l’Unione”, nella circostanza, avrebbe “fatto un altro passo avanti”, e se anche la stessa Signora Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, a sua volta, ha sentito l’esigenza di esprimersi in difesa di un piano europeo definito “ambizioso ed equilibrato”, tuttavia, ciò nonostante, e come al solito, non è mancato chi, nella specie, tra gli altri, Gernot Bluemel, ministro delle Finanze austriaco, ha voluto ribadire con fredda determinazione l’opposizione del proprio Paese alla condivisione del debito.

Nulla di nuovo sotto il sole dunque, quanto meno per il momento. Al di là della solita schermaglia tra i Paesi cc.dd. “Frugal Four” (ossia “I Quattro Parsimoniosi”: Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca), il cui rilievo politico/decisionale, a voler ben considerare, appare ancora da soppesare con precisione, e i Paesi cc.dd. “Amici della Coesione”, tra cui anche l’Italia, a tutt’oggi sembrerebbe non potersi intravedere null’altro se non una flebile luce in fondo al tunnel rappresentata dalla attesissima riunione di luglio, allorquando si darà pure avvio al semestre europeo di presidenza tedesca dell’Unione.

Ma in cosa consiste esattamente il “Recovery Fund”, ossia il tanto famigerato, quanto fortemente agognato “Fondo di Recupero”? Perché la mediazione sul rilancio dell’Economia nell’Eurozona, apprezzabile sul piano degli intenti e delle finalità, sembra presentare criticità insuperabili sui modi e sui tempi di attuazione? Questo accesissimo dibattito sul “Recovery Fund” è destinato a riverberare i suoi effetti solamente sul piano economico sociale, oppure, invece, lascia trasparire un sottile, quanto fondamentale, riflesso sul piano politico non solo squisitamente comunitario ma anche tipicamente interno? Perché il futuro politico del premier Giuseppe Conte, e probabilmente non anche della attuale maggioranza giallo rossa di Governo, è strettamente connesso, laddove, e solo se lo sia realmente, al buon esito della trattativa europea? E ancora. L’appoggio della Germania alla proposta francese è pura e semplice espressione di un compromesso di circostanza, limitato al persistere della condizione emergenziale pandemica e dei suoi incerti quanto devastanti effetti, oppure testimonia, sia pure a livello necessariamente ancora embrionale, l’esigenza di portare a compimento, in senso precipuamente solidaristico, un processo di trasformazione dell’Unione finalmente svincolato da qualsivoglia egoistico interesse nazionalistico?

Ebbene, per quanto gli interrogativi siano oltremodo legittimi e innegabilmente rilevanti, tuttavia, le risposte ai medesimi, ben lungi dall’essere univoche e necessariamente concordanti, possono in realtà assumere sfumature differenti in relazione alla prospettiva di indagine prescelta nella valutazione delle circostanze rappresentate. Tanto più, quando, come nel caso di specie, la “fase ricostruttiva” della “Nuova Europa Solidale” sia stata direttamente voluta e gestita, su specifica iniziativa dell’astuto presidente francese Emmanuel Macron, proprio dal vecchio caro asse franco tedesco il quale, siccome incalzato dagli imprevisti quanto imprevedibili eventi degli ultimi mesi, altra via non avrebbe potuto imboccare nello strenuo tentativo di sopravvivere a se stesso.

Intanto, perché la netta contrapposizione tra la richiesta di istituzione di un “Emergency Recovery Fund”, ossia “Fondo di Recupero Emergenziale”, doverosamente limitato nel tempo quanto fortemente voluto dai Paesi cc.dd. “Frugali”, e la necessità di ricorrere a una “Next Generation Eu”, ossia letteralmente, “Europa di Prossima Generazione”, quale progetto necessariamente di ampio respiro e di stabile durata, caldeggiato, invece, dai Paesi “Amici della Coesione”, rappresenta l’unico vero punto di scontro, e/o, piuttosto, di difficilissimo incontro, tra due differenti concezioni umanistico/solidarizzanti dell’Europa post pandemica: ossia quella meramente, puramente e cautamente assistenzialistica e vincolata nel primo caso, siccome finalizzata alla conservazione dei preesistenti equilibri di potere; quella strutturale, libera e federale nel secondo, siccome finalizzata, per converso, alla definitiva trasformazione di una “Europa” fino ad oggi “a geometria variabile”, in una “Europa”, per così dire, “a percorsi lineari e paralleli”. Quindi, perché, diversamente da quanto si sarebbe indotti a ritenere, la definitiva approvazione, speriamo nel brevissimo termine, da parte di tutti i ventisette membri dell’Unione, del c.d. meccanismo del “Recovery Fund”, e quindi, in buona sostanza, della “Next Generation Eu”, secondo la formulazione inizialmente ispirata dai franco tedeschi poi rivisitata dalla Commissione, e tendente al perseguimento del rilancio dell’economia europea attraverso l’erogazione di 750 miliardi di euro da destinarsi, in parte a titolo di sovvenzione e in parte a titolo di prestito, ai Membri economicamente più colpiti dagli effetti della crisi da Covid -19, è destinata a riverberare i suoi effetti diretti e indiretti anche sul piano politico sia comunitario che interno proprio allorquando si ponga come valido ed efficace strumento di contrapposizione e di lotta all’ideologia sovranista/nazionalista fino ad oggi imperante non solo all’interno della variegata Compagine Geopolitica Europea, ma anche a livello tipicamente territoriale, ponendosi inevitabilmente in funzione marginalizzante della stessa.

Inoltre, perché, laddove non si fosse ancora capito, dall’esito del durissimo negoziato europeo dipende inevitabilmente lo stesso futuro politico del nostro presidente del Consiglio dei ministri (sempre più in bilico tra la conservazione degli equilibri instabili all’interno di un esecutivo tanto debole quanto compositivo e disfunzionale e la corrispondente stringente necessità di esercitare il controllo serrato nei confronti di una opposizione a correnti alternate e sbilenche, e per ciò stesso tutt’altro che decisiva), il quale, peraltro, nel suo definirsi “costruttore non divisivo”, riesce a collocarsi facilmente all’interno di uno schema di pensiero vincente che riconosce nell’anti-salvinismo moderato e democratico la chiave di svolta del futuro politico dell’Italia e degli italiani, all’evidenza sempre meno disposti a ragionare in termini di coalizioni contrapposte e patologicamente destabilizzanti e, per ciò stesso, e per converso, sempre più inclini a riconoscersi e riflettersi in singole personalità/guida, in qualche modo ancora “a-partitiche” per il loro presentarsi solamente in termini di “presente” e di “dinamico divenire”.

Infine, perché, a ben considerare, le timide, quanto determinate, trasformazioni in atto sul piano europeo, e quindi, di riflesso, su quello nazionale, rappresentano il segnale evidente di un tentativo di ritorno alla rassicurante ideologia liberal-socialista, la cui riaffermazione, a sua volta, appare direttamente connessa, quanto funzionalmente correlata, al rapporto di doverosa interdipendenza tra la lungimiranza della stessa Istituzione Europa in sé e per sé considerata, e la credibilità interna e internazionale dei singoli Stati Membri che la compongono. Una sfida senza dubbio molto ardua, ma che vale la pena perseguire per non lasciare indietro nessuno.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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