“L’Europa s’è desta” ma “ha bisogno di un’Italia forte al suo centro”. Lo ha dichiarato con fierezza, nel corso del suo intervento agli Stati Generali per l’Economia, Ursula Von der Leyen, di fatto “inchinatasi” al cospetto del Premier Giuseppe Conte ringraziandolo non solo “per il lavoro paziente nel tenere unito il Paese”, ma anche per “la proposta di un piano strategico di riforme per la ripresa dell’Italia”. L’appuntamento a Villa Pamphili, dunque, con buona pace degli scettici e degli sterili oppositori destrorsi di circostanza, ritiratisi in buon ordine siccome all’evidenza resistenti alla possibilità di offrire un loro sia pur minimo e personalissimo contributo, segna l’inizio di una nuova era, di una nuova ed inedita alleanza tra l’Italia e l’Unione destinata a porre le fondamenta di un rinnovato patto politico/economico che possa dirsi finalmente federativo.

Tanto più, quando, il rattrappimento economico che stiamo sia pur coraggiosamente attraversando ed affrontando, ha confermato - lo dico senza timore alcuno di smentita - che l’Unione Politica non può più considerarsi alla stregua di una mera evenienza alternativa alla già esistente, ed evidentemente insufficiente, Unione Monetaria.

Infatti, se è vero, come è vero, che le inadeguate politiche, ostinatamente perseguite nel corso degli ultimi e turbolenti anni trascorsi, possono aver contribuito, come di fatto hanno contribuito, ad accrescere le diseguaglianze sociali, a propagare il senso profondo dell’instabilità, e a far venir meno il sostegno politico ai governi, a quello italiano in particolare proprio nel momento di maggiore necessità, tuttavia, sembra apparire altrettanto vero che questa Italia del “Conte Giuseppe”, proprio attraverso la singolare, quanto positivamente visionaria, convocazione degli “Stati Generali”, sia riuscita a spezzare, quanto meno ideologicamente, il circolo vizioso dello staticismo passivo di comodo.

Il tutto offrendo al Paese la prospettiva di nuovi orizzonti di crescita pur nella persistente consapevolezza che un vero e proprio ritorno “alla normalità”, da non intendersi quale ritorno “allo status quo ante rispetto a questa crisi” (G. Conte), non potrà realizzarsi fin tanto che la Pandemia continuerà a scandire il ritmo delle nostre molteplici quotidianità.

Nulla quaestio, dunque, soprattutto allorquando la tanto agognata progettazione del rilancio “con azioni concrete” ed “interventi urgenti per migliorare il Paese”, fortemente voluta dal Presidente del Consiglio dei Ministri, non venga banalmente ridotta ad uno slogan subliminale, ma venga piuttosto rettamente interpretata e vissuta alla stregua di un concreto appuntamento programmatico che lungi dal porsi nei termini angusti del “preconcetto” disfattista rigido e schematico, si manifesti invece, come appunto pare già essersi manifestato, in tutta la sua vantaggiosa elasticità.

Ma se così è, quale potrà mai essere, laddove davvero esistente, il reale disegno politico che si nasconde dietro la convocazione degli Stati Generali? Il connubio tra quello che agli scettici è apparso come una forma di autoritarismo politico da una parte e l’esigenza di un rilancio del potere economico dall’altra, rischia di ingenerare un corto circuito funzionale a vantaggio del primo siccome erroneamente esercitato, in potenza, quale vero e proprio potere economico? Esiste una correlazione diretta ed immediata tra la convocazione dei ridetti Stati Generali ed il futuro politico non solo del Premier ma anche dell’attuale esecutivo giallo rosso? Perchè, nonostante l’accorato richiamo del Premier, e malgrado una positiva iniziale apertura manifestata dal Presidente Berlusconi, le opposizioni hanno poi rinunciato ad offrire il loro contributo partecipativo? Chi può saperlo, verrebbe da esclamare in tutta onestà. Confucio, risponderebbe certamente che quando ci si accinge a fare qualcosa, si avranno contro quelli che volevano fare la stessa cosa, quelli che volevano fare il contrario, e quelli che non volevano fare niente. Tutto vero, e tutto senz’altro realistico applicato alla circostanza contingente. Ma il livello di astrazione nel fornire le risposte è tanto più elevato quanto più cresca il livello di complicazione sistematica dei ragionamenti condotti, i quali, a ben considerare, non possono essere ridotti alla sola stregua dei miserevoli giochi di potere tra le parti pur tristemente esistenti. Intanto, perché, piaccia oppure no, Giuseppe Conte, il Professore di Diritto Privato metodico, cauto e riservato, si è chiaramente manifestato per essere l’unico vero nuovo leader “visionario”, capace non solo di concepire il rinnovamento della realtà circostante in termini di novità, ma anche di intraprendere una qualunque via, quale financo quella più inconsueta e sorprendente degli Stati Generali, pur di centrare l’obiettivo, riuscendo altresì a “scolpire”, nel contempo, un fortissimo indirizzo positivo all’iniziativa ed incidendo favorevolmente, per ciò stesso, tanto a livello nazionale, quanto a livello sovranazionale in un momento delicatissimo, quale quello attuale, ove i cambiamenti in essere richiedono un orientamento chiaro e ben definito nei suoi contorni conformanti.

Quindi, perché, lungi dal voler considerare la convocazione degli Stati Generali dell’Economia come una mera passerella mediatica esclusivamente finalizzata a perseguire la definitiva stabilizzazione degli assetti di potere all’intero dell’attuale maggioranza giallo rossa, quella stessa convocazione, invece, contrariamente a quanto mostrano di ritenere i contestatori, si contraddistingue per essere la chiara ed inequivocabile espressione della riaffermazione del potere e/o autorità politico/a che, in quanto tale, e siccome tale, intende contraddistinguersi dal potere economico in se e per se considerato orientandone tuttavia parallelamente, quanto necessariamente, le scelte in senso marcatamente liberal-progressista.

Infine, perché, l’atteggiamento tutto contrastante (ed in qualche maniera “tossico” per essere vincolato alla reciproca forzosa interdipendenza nella diversità), riconoscibile tra i diversi partiti facenti parte della coalizione di centro destra, oramai esistente per sole mere esigenze elettorali, ma decisamente diversificata sotto il profilo degli obiettivi da perseguire, ha impedito agli Azzurri (centristi e moderati per eccellenza), per l’ennesima volta, di fare la differenza nel partecipare a quello che si è distinto per essere, a prescindere dagli esiti concreti che ne scaturiranno, un vero e proprio appuntamento con la Storia, pur dopo aver per mesi e mesi lanciato inequivocabili segnali di collaborazione al Premier ed all’intero esecutivo all’insegna della responsabilità.

Giuseppina Di Salvatore
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