L'incontro sul programma a Palazzo Chigi tra delegazioni Pd-M5S e il presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte, in programma questa mattina alle 9.30, slitta a mezzogiorno.

È la diretta conseguenza delle tensioni di ieri tra pentastellati e dem, innescate dalle "pretese" di Luigi Di Maio, che ha chiesto che a trainare l'azione del nuovo esecutivo siano soprattutto i "20 punti" illustrati dal M5S durante le consultazioni al Colle.

Una pretesa che ha fatto infuriare il segretario Pd Nicola Zingaretti, che ha replicato con un piccato: "Basta ultimatum".

La sensazione, al Nazareno, è che ci sia dietro dell'altro. La volontà di Di Maio di non passare in secondo piano (accompagnata, sembra, dalla richiesta del ruolo di vicepremier e di un ministero pesante) o, come ha ipotizzato Conte, cercando di stemperare, l'intenzione di parlare alla base del Movimento, più che ai potenziali alleati di governo.

Limpressione, insomma, è che, ancora, in entrambi i partiti ci siano da regolare molte questioni interne.

Per questo, per molti non è completamente campato per aria lo scenario che prevede che all'ultimo minuto il banco possa saltare clamorosamente, con il prematuro affossamento del Conte-bis e l'inevitabile ritorno al voto.

Voto che secondo Carlo Calenda, fuoriuscito eccellente in casa dem dopo l'avvicinamento al "nemico" a 5 Stelle, dovrebbe far paura più ai 5 Stelle che non al Pd.

"Di Maio che lancia diktat al Pd mi fa schifo", ha detto l'ex ministro dello Sviluppo economico. Aggiungendo: "Io non ce l'ho con chi vota i 5s ma con chi li guida. Spero che la base faccia ravvedere il Pd poi capiremo meglio cosa succederà, le elezioni non sono lontane".

Anche perché, profetizza Calenda, comunque vada c'è una sorta di spada di Damocle sul Pd.

È possibile infatti che in autunno "Renzi farà i propri gruppi e farà cadere il governo".

Zingaretti conosce il rischio. Per questo il voto, per il Pd, il "suo" Pd, non sarebbe, dopotutto, il peggiore dei mali.

(Unioneonline/l.f.)
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