Sei giorni di trattative. Sono quelli che separano le forze politiche dal voto di sfiducia a Giuseppe Conte, che dopo le dichiarazioni in Aula al Senato dovrebbe salire al Colle per rassegnare le sue dimissioni.

E i partiti sono in fibrillazione. Voto subito? Governo ponte, che duri un paio di mesi per traghettare il Paese alle urne in maniera ordinata e scongiurare l'aumento dell'Iva? Patto di legislatura Pd-M5S?

Queste le tre strade percorribili.

I NOMI - In caso di governo ponte spuntano i nomi di Marta Cartabia, vicepresidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, ministro della Giustizia nel governo Prodi. Ci sono poi le ipotesi più remote: Mario Draghi, persino un Conte bis e Carlo Cottarelli, l'uomo che poco più di un anno fa è entrato al Quirinale col trolley per poi uscirne senza incarico, dopo che Di Maio e Salvini avevano raggiunto l'accordo.

In caso di patto Pd-M5S avremmo a che fare con nomi più "politici": in pole c'è l'ex presidente dell'Anac Raffaele Cantone. In alternativa si potrebbe pescare nel passato del centrosinistra, con nomi come Walter Veltroni, Romano Prodi o Enrico Letta. Ma anche nel M5S, in questo caso il nome più spendibile è quello di Roberto Fico, che nel corso dell'anno di governo gialloverde non ha mai risparmiato bordate a Salvini né nascosto la sua anima "di sinistra". La strada è difficile da percorrere e irta di ostacoli, a partire dai veti incrociati. I pentastellati non vogliono Renzi, che tuttavia ancora controlla buona parte dei parlamentari dem. Il Pd vuole che il Movimento archivi la stagione di Luigi Di Maio.

SALVINI - Intanto è tutti contro Salvini e Salvini contro tutti. "Il 20 agosto sfiduceremo il premier", ha ribadito il leader leghista. "No a giochini di palazzo o governi strani, sarebbe irrispettoso un governo dei perdenti: M5S e Pd sono gli sconfitti delle ultime elezioni europee e politiche. Sarebbe un governo truffa e noi lo sventeremo".

Un "capitano" che tuttavia appare sempre più isolato. Oggi con Di Maio, in occasione della commemorazione della strage del ponte Morandi, non si è scambiato neanche una stretta di mano, neanche uno sguardo quasi. Non è neanche riuscito a stringere l'accordo con Berlusconi, che ha rifiutato di confluire nella lista unica e vuole mantenere il simbolo di Forza Italia.

Isolato a attaccato. "Salvini è incoerente - affondano i pentastellati sul blog - se deve votare la sfiducia perché continua a rimanere incollato alla poltrona?". E Di Maio lascia intendere come siano proprio i rapporti personali ad essere irrecuperabili: "D'ora in poi deve chiamarmi per nome e cognome, non 'amico'. Gli amici sono leali".

"Quando si perde, ci si dimette. Il Viminale ha bisogno di sicurezza, non di odio", ha detto invece Matteo Renzi rilanciando la raccolta firme per le dimissioni del ministro.

Anche Giorgetti si riserva una critica al veleno. La crisi andava aperta prima, subito dopo le europee, ci sarebbe stato più tempo per andare subito al voto: "Sono decisioni di un capo, il capo decide sempre lui da solo", dichiara lapidario.

Quanto al colpo di teatro di ieri, la proposta con cui Salvini ha teso la mano ai 5S ("Tagliamo i parlamentari e poi andiamo al voto"), si è rivelata anch'essa un boomerang. "Una mossa della disperazione - attacca Di Maio - perché in base ai regolamenti parlamentari se vuole votare il taglio degli eletti dovrà prima ritirare la mozione di sfiducia a Conte". Senza considerare che bisogna dare il tempo ai parlamentari di raccogliere le firme per il referendum e ritoccare la legge elettorale per adattare i collegi al numero ridotto di parlamentari. Una strada impercorribile, insomma, un bluff.

Tutti contro Salvini. Anche il Tar, che gli ha dato uno schiaffo proprio sul tema che più gli sta a cuore. I migranti. Un ceffone che tuttavia - unito alla lettera di Conte sui naufraghi della Ocean Viking - è servito a rinvigorire la sua campagna elettorale.

(Unioneonline/L)
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