Zedda ha fatto il Massimo, ma Zedda non basta. Se il centrosinistra sardo pensa di affidare il suo riscatto solo alle virtù taumaturgiche del sindaco, buona fortuna: poi però nessuno si lamenti se arriveranno altre sconfitte.

Nel giorno in cui perdono (rovinosamente) la Regione, Pd e alleati guadagnano quanto meno un leader. È chiaro che nel prossimo futuro non potranno fare a meno di Zedda. Ma devono trarre una lezione. Senza un gruppo dirigente che legga le sensibilità sociali e produca idee (verrebbe da dire: senza la politica), anche il miglior generale fa la figura di Brancaleone.

Onestamente, non si poteva chiedere al candidato presidente di fare meglio di così. Domenica hanno votato 100mila sardi in meno rispetto alle Politiche di un anno fa, eppure Zedda ha ottenuto quasi 70mila voti in più della somma di allora tra centrosinistra e Leu. Forse il sindaco avrebbe potuto dare maggior risalto ad alcune idee valide del suo programma, come su turismo e aeroporti, più che alla riforma degli assessorati (doverosa, ma poco popolare). Ma non ha certo perso per questo. Per la coalizione è stata una sconfitta bruciante, ma non ha bruciato lui, il leader. Anche perché bisogna ricordare che senza questo candidato non ci sarebbe stata, alle Regionali, neppure questa coalizione.

Il voto di tre giorni fa invece ha detto che il centrosinistra nell'Isola esiste ancora, pur essendo attualmente ben lontano dall'essere maggioranza. Il problema è che, dopo la batosta del marzo 2018, ha sprecato un anno senza fare ciò che avrebbe dovuto. Ossia un radicale rinnovamento nelle politiche e nelle persone.

Vale soprattutto per il Pd, che a livello nazionale deve addirittura ancora concludere il congresso per la scelta del leader del futuro. Nel livello locale non ha colpe l'attuale segretario Emanuele Cani, che anzi ha saputo garantire una paziente ricucitura. Ma è mancato il coraggio di fare scelte magari rischiose, come affidare la leadership a una generazione davvero nuova (eppure i trentenni di qualità ci sono: si pensi al sindaco di Iglesias Mauro Usai). Il rinnovamento, semmai, è traumatico e subìto: gli assessori uscenti candidati, tutti bocciati. O l'area Soru, scomparsa dal gruppo Pd. Sono soprattutto le liste civiche - compresa Sardegna in comune - a portare aria fresca.

Ora che i sardi hanno collocato il centrosinistra all'opposizione, la ricetta resta la stessa: seminare, far crescere i dirigenti di domani. Sia che Zedda rimanga in Consiglio regionale, sia che scelga di fare ancora il sindaco per poi, quando sarà il momento, spiccare il volo verso ruoli nazionali. In ogni caso, se non sarà affiancato da una rete di intelligenze collettive, non potrà fare miracoli, come non ne ha fatto il 24 febbraio.

Nel contesto politico del bipolarismo conosciuto per vent'anni, il centrosinistra potrebbe pure limitarsi ad aspettare un vento nuovo, consolidando la figura del suo leader e magari lucrando sulle difficoltà che spesso incontra chi governa. Ma ora che l'elettorato consuma ogni due-tre anni un nuovo messia e fluttua di continuo, la rendita di (op)posizione non funziona più. Quanto meno, non è detto che tra cinque anni un eventuale desiderio di cambiamento premi necessariamente i secondi classificati di oggi. Anche perché i 5Stelle sono morti e risorti già varie volte; o magari il dissenso potrebbe esprimersi in forme nuove.

Insomma, malgrado la peggiore sconfitta nell'era dell'elezione diretta del governatore, il centrosinistra si è confermato perlomeno vitale: con Zedda. Ora deve dimostrare che c'è vita anche oltre.

Giuseppe Meloni

L'Unione Sarda
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