I segnali ci sono. Perché vai a Genova e comandi la partita (ma perdi), sfidi il Sassuolo e ti manca un centimetro - padron, un minuto - per riemergere (e pareggi). Il Cagliari comincia la sua terza vita: la prima è finita presto, fra infortuni, virus ed esperimenti. La seconda si è persa insieme al girone d'andata, un incubo che durava da sei partite. Il campionato dei rossoblù, se gli indizi sono prove, è ripartito ieri pomeriggio. Una domenica uggiosa, in uno stadio diventato troppo grande per una squadra che sta ancora cercando la sua identità. Il Cagliari si piega, finisce in ginocchio, ma non si spezza. Un calcione di troppo, qualche contatto proibito, una palla che rimbalza sulla linea prima che l'incredibile Cragno la spazzi via, poi la zuccata di Joao Pedro - il miglior brasiliano d'Europa, magra consolazione - fa provare al tifoso e alla squadra una sensazione che sembrava sepolta in soffitta. E poi la paura, la stanchezza, i crampi allo stomaco e quella distrazione puntuale e fatale, una delle poche, ieri, l'uomo che ti scappa a sinistra e la butta dentro mentre l'arbitro ha già il fischietto in bocca. Abbiamo capito che non è l'anno del Cagliari, diciamo che i segnali sono chiari, ma è palese che questo gruppo stia cercando di non sprofondare, non se lo può permettere anche per la cifra tecnica che porta in giro per l'Italia.

E poi c'è lui, Eusebio Di Francesco, a bordo campo lo stile è di Conte (quello dell'Inter), l'integralismo è tutto suo, gli occhi iniettati di sangue e quella botta a fine gara che digerirà fra sei mesi.

È stata la sua settimana, inutile nasconderci. Tutti sappiamo che la fiducia del club, bella e scenografica, si sarebbe scontrata frontalmente con la realtà dei fatti se oggi avessimo dovuto commentare un altro risultato. È riuscito a sorridere quando ha chiamato dalla tribuna un ragazzino, Tripaldelli, affidandogli un pezzo di panchina, la sua, a pochi minuti dalla fine. Ha schierato l'artiglieria al 60' e Sottil gli ha dato ragione da una parte - ha dato la scossa e la palla a Marin sul gol - e torto dall'altra, perché è del velocista di Torino lo stratosferico errore di chiusura, nell'azione del pareggio del Sassuolo. Di Francesco è andato alla battaglia dell'anno senza un regista, con una squadra rabberciata e un equilibrio instabile, ma la squadra gli ha risposto. Non si molla, non si cede, era il segnale che la società voleva, dopo il fallimento del girone d'andata. La terza stagione è iniziata, mancano 18 partite al traguardo.
© Riproduzione riservata