ANew York avevano già deciso di fare i conti con la storia. Di illuminarne anche i lati oscuri, chiedendosi a chi sia giusto rendere onore con un monumento pubblico, e a chi no. Non è stato l'omicidio di George Floyd a Minneapolis, con le proteste antirazziste che ne sono derivate, ad accendere nella Grande Mela il dibattito sulle statue dedicate ad alcuni personaggi controversi. A partire da Cristoforo Colombo, che dal 1892 svetta su una colonna alta 21 metri ai confini di Central Park. Ora ha ripreso forza la voce di chi vorrebbe rimuovere la scultura a lui dedicata, così come pare che accadrà a quella dell'ex presidente Theodore Roosevelt, oggi collocata davanti al Museo di storia naturale. Per entrambi pesano gli orrori del genocidio degli indigeni americani e dello schiavismo. Ma quasi tre anni fa l'ipotesi di sfrattare Colombo da Columbus Circle era stata valutata - e scartata - da una commissione composta da autorevoli personalità di varia formazione: esperti di storia, storia dell'arte, urbanistica, diritto, comunicazione; architetti, artisti, attivisti nel campo dei diritti civili, e altri ancora.

Nomi assai noti negli Usa, molto meno dalle nostre parti: il più famoso in Italia è probabilmente Harry Belafonte, il re del Calipso oggi 93enne, mezzo newyorkese e mezzo giamaicano, che ha sempre affiancato l'impegno per i diritti civili alla carriera di cantante e attore. Hanno guidato l'organismo Tom Finkelpearl, all'epoca il super-assessore alla cultura nell'amministrazione cittadina, e Darren Walker, presidente della Ford Foundation.

La commissione era stata istituita dal sindaco Bill De Blasio per dare una risposta non emotiva alle richieste di gruppi e associazioni sensibili alla tutela delle minoranze. Per tre mesi il gruppo ha condotto ricerche specifiche su molti monumenti, cercando anche di sondare il sentimento dei cittadini. Il rapporto finale, consegnato a De Blasio nel gennaio del 2018, non raccomanda di rimuovere la statua di Colombo, ma suggerisce una serie di azioni per modificarne il contesto (culturale, oltre che fisico) e renderla più accettabile per i cittadini di ogni etnia. Fino all'ipotesi di realizzare una sorta di contro-monumento dedicato alle popolazioni indigene americane.

La commissione, che non aveva il potere di formulare pareri vincolanti per la municipalità, ha suscitato anche molte polemiche. Non tanto per le considerazioni sul monumento a Colombo, ma per quelle su altre opere molto discusse: la già citata statua equestre di Theodore Roosevelt, di cui si suggeriva lo spostamento, e la targa in onore del maresciallo Pétain, che invece si è salvata dall'ipotesi di rimozione. Ma, polemiche o no, il lavoro dei saggi nominati da De Blasio rappresenta un esempio di come si possano affrontare le ambiguità del passato senza ignorarne gli aspetti scivolosi, ma restando ben al di qua della furia iconoclasta. Un esempio che potrebbe essere imitato magari anche in Sardegna, dove sempre più persone intendono ridiscutere la celebrazione del Regno dei Savoia affidata alla toponomastica urbana o a opere come la statua di Carlo Felice, in piazza Yenne a Cagliari.

È per questo che risulta molto interessante la lettura del "Report to the City of New York" stilato dalla commissione. "Riflettere su cosa e chi scegliamo di onorare negli spazi pubblici non è una questione puramente accademica", avvertono i due co-presidenti nella relazione introduttiva: si tratta invece di una discussione molto viva nella comunità. In una città tra le più multietniche al mondo, la riflessione sui monumenti - come si legge nel Report - serve a "creare le condizioni per cui tutti i newyorkesi si sentano i benvenuti negli spazi pubblici".

Gli Stati Uniti, afferma la commissione, "continuano a cimentarsi con un'eredità di razzismo, colonialismo, sessismo, discriminazioni dei disabili, pregiudizi e disuguaglianza". Alcuni monumenti sono i sintomi visibili di questo. L'idea è quella di sfuggire all'alternativa secca tenere/rimuovere, suggerendo alla città alcune possibili azioni per rendere più coerenti le opere storiche con gli attuali valori della comunità di New York.

La relazione si sofferma in particolare su quattro di queste opere, arrivando in un caso a proporre radicalmente uno spostamento di sito. Il verdetto riguarda il monumento a James Marion Sims, a Central Park. Sims è considerato il padre della moderna ginecologia, ma le sue ricerche si sono basate in gran parte su pesanti esperimenti su donne nere in stato di schiavitù. Perciò la commissione suggerisce di collocare la sua statua in un diverso spazio pubblico, più lontano dal quartiere nero di Harlem, e senza il piedistallo che, elevandola da terra, le conferisce maggior prestigio. Inoltre dovrebbe essere accompagnata da una targa che spieghi luci e ombre del personaggio, e riporti i nomi di alcune delle donne su cui il medico aveva condotto i suoi esperimenti. L'attuale piedistallo dovrebbe invece ospitare un nuovo monumento per onorare qualche scienziata di pelle nera.

Diversa la conclusione a cui sono giunti gli esperti al riguardo della placca in granito, inserita in un marciapiede nella parte bassa di Broadway, che ricorda la parata con cui New York onorò nel 1931 il maresciallo francese Philippe Pétain. All'epoca era considerato un eroe della Prima Guerra Mondiale, ma dal 1940 guidò il governo di Vichy che collaborò con Hitler. Dopo il 1945 fu condannato per tradimento. La numerosa comunità ebraica locale non può accettare che si celebri un personaggio simile: ma la commissione non ha suggerito al sindaco De Blasio di rimuovere la placca. Quest'ultima infatti fa parte di una serie che ricorda tutte le 206 parate tenute in quella strada di Manhattan dal 1886 in poi, in onore di capi di Stato o di governo stranieri (tra questi, Alcide De Gasperi e Giovanni Gronchi), soldati, astronauti, campioni sportivi e così via. Non è ragionevole pensare di rimuovere tutta la serie, ha osservato la commissione, e d'altra parte la placca si limita a ricordare il fatto storico della parata del 1931, senza un esplicito effetto celebrativo di Pétain. Il suggerimento è stato perciò quello di aggiungere indicazioni sulla storia dei personaggi citati, e di non definire più Lower Broadway "il canyon degli eroi".

Nel caso Roosevelt invece il problema risiede nell'opera in sé: l'ex presidente è raffigurato a cavallo, seguito a piedi da un nativo americano e un afroamericano. "Nell'arte pubblica l'altezza esprime potere", ribadisce la commissione, e la statua equestre "rappresenta visibilmente il dominio e la superiorità" sulle due figure senza nome. Però solo la metà del gruppo di lavoro ha proposto di spostare il monumento, mentre il resto si è diviso tra chi vorrebbe lasciarlo dov'è, ma con altre opere che possano reindirizzarne l'interpretazione, e chi ha chiesto più approfondite ricerche storiche prima di pronunciarsi.

L'ultimo monumento preso in considerazione è appunto quello di Columbus Circle. La riflessione parte dalla complessità e dalle contraddizioni del personaggio di Colombo, che per certi versi richiama alla mente il genocidio dei nativi americani e l'avvio della deportazione degli schiavi dall'Africa. Ma si sottolinea anche il ruolo del navigatore genovese nel corroborare l'orgoglio etnico degli italoamericani, in epoche in cui erano oggetto di forti discriminazioni. La relazione ricorda infatti che la colonna fu eretta nel 400esimo anniversario della scoperta dell'America, appena un anno dopo il linciaggio di New Orleans, in cui furono uccisi undici italiani accusati dell'omicidio del capo della polizia locale, ma assolti nel processo per quel fatto.

In uno spirito di riconciliazione tra i diversi gruppi etnici, il rapporto consegnato a De Blasio propone di non spostare la statua, ma di favorire il pubblico dibattito e la conoscenza su Colombo. Inoltre si ventila la possibilità di commissionare una sorta di contro-monumento di ampie dimensioni, nello stesso sito o altrove, in onore delle popolazioni indigene. Viene proposta anche l'istituzione di un Indigenous Peoples Day, una giornata per celebrare l'orgoglio dei nativi americani, così come fu istituito il Martin Luther King Day per la popolazione nera.

Finora quasi nulla di quello che ha suggerito la commissione Finkelpearl-Walker è stato attuato. Ma il suo Report rappresenta - anche dopo il caso Floyd - un punto di riferimento per chi non intende liquidare sbrigativamente la richiesta, comune a molti Paesi, di una riflessione collettiva sulle figure che ciascuna comunità sceglie di tramandare ai posteri.
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