Una morte che ha ancora molti perché da chiarire quella di Louisa Jespersen e Maren Ueland, le due studentesse scandinave uccise e decapitate da un branco di jihadisti la notte del 16 dicembre.

Le ragazze si trovavano in vacanza nella regione di Imlil, in Marocco. All'indomani del ritrovamento dei corpi le autorità hanno parlato di un delitto compiuto da 4 "lupi solitari", ma poi le indagini hanno evidenziato altro.

E la retata compiuta nei giorni successivi da FBI locale e altri agenti che ha portato al fermo di 22 persone ha spostato l'attenzione su una rete collegata all'Isis e facente capo a Kevin Z., 25enne cresciuto a Versoix, in Svizzera, con padre svizzero e madre spagnola.

Un ragazzo difficile, appassionato di calcio e ultrà del Servette, che ancora minorenne si è infilato in molti guai: droga, violenze, atti di teppismo e furti.

Poi, pare dopo un "soggiorno" in carcere, la passione per la Bibbia e il Corano e la radicalizzazione.

I suoi problemi mentali gli garantiscono una pensione di invalidità, e lui sceglie poi in omaggio alla sua passione per le nuove culture scoperte di trasferirsi in Marocco.

Per gli inquirenti Kevin per mesi ha comunicato con un esponente del Califfato in Siria, un rapporto consolidato da un incontro avvenuto a Ginevra. E tramite Telegram ha insegnato ai suoi seguaci ad usare le armi e a servirsi del web per ricevere ordini.

Fino ad oggi lo Stato Islamico non ha rivendicato l'azione contro le studentesse, e gli esperti ritengono sia legato al fatto che nel filmato orrendo apparso su internet una delle ragazze compare senza pantaloni: secondo il movimento è lecito mostrare l'esecuzione di un nemico, ma non di una donna e tantomeno svestita.

(Unioneonline/v.l.)
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