Una svolta decisiva sul caso Regeni. La procura di Roma provvederà infatti a iscrivere nel registro degli indagati per sequestro, torture e omicidio cinque o sei dei nove sino ad oggi solo sospettati, fra agenti della polizia e dei servizi segreti egiziani, identificati nei mesi scorsi dagli uomini di Ros e Sco.

Il provvedimento esclude, invece, i poliziotti e gli 007 sospettati di depistaggio, in quanto il reato non ha coinvolto direttamente Regeni.

L'annuncio del pm Sergio Colaiocco è arrivato ieri al Cairo durante il decimo vertice con i colleghi egiziani, da cui è ancora emerso come le autorità locali poco abbiamo fatto a seguito della cattura. In particolare, proprio ieri è stata ribadita la presenza di "buchi" nelle immagini delle videocamere della metropolitana registrate la sera della scomparsa di Regeni, il 25 gennaio 2016. I "buchi" sono attribuiti ad una sovrascrittura, e i materiali esaminati – dove fra l'altro Regeni comunque non appare – rappresentano poi solo il 5% di quanto ripreso quel giorno nella metropolitana del Cairo.

Dall'Egitto, al di là dei convenevoli formali, hanno inoltre fatto già intendere in modo chiaro che i presunti autori della drammatica fine del ricercatore friulano non verranno portati a processo. La motivazione è l'assenza della prova schiacciante, e un sistema giuridico che non prevede la condizione dell'indagato.

L'unico progresso degli inquirenti del Cairo sarà dunque quello ai due uomini accusati di omicidio per i fatti risalenti al 24 marzo 2016, quando cinque criminali comuni vennero uccisi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane. La verità fu poi che si trattava dell’ennesimo depistaggio.

LA VICENDA - Giulio Regeni sparì la sera del 25 gennaio 2016: il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria alla capitale egiziana. Anche se la verità sull'omicidio del giovane non c'è ancora, certo è che il ricercatore friulano sia stato attenzionato da polizia e servizi egiziani già settimane prima del rapimento. Inoltre, le indagini sui tabulati telefonici hanno dimostrato il collegamento tra gli agenti che si occuparono di tenere sotto controllo Giulio tra il dicembre 2015 e il gennaio 2016, e gli ufficiali della National Security coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi il 24 marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l'omicidio.

Nelle prime settimane dopo il ritrovamento del corpo, tante false piste si susseguirono: prima si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, successivamente si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l'aveva portato a farsi dei nemici. A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte.

Il 24 marzo del 2016 l'ennesima ricostruzione non credibile.

A distanza di quasi tre anni dall'omicidio, anche se la verità ufficiale ancora manca, chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia morto, dopo atroci torture, per gli studi cui lavorava con determinazione e serietà, che lo hanno messo in contatto con persone che ne hanno determinato il tragico destino.

(Unioneonline/v.l.)

© Riproduzione riservata