Mentre in Sicilia, a Cinisi, Radio Aut non trasmetteva più "Onda Pazza a Mafiopoli" perché il giornalista e poeta Peppino Impastato era stato ucciso durante la notte dalla mano mafiosa, quello stesso 9 maggio 1978, ma a Roma, in Via Michelangelo Caetani, a pochi passi dalla sede della Democrazia Cristiana in piazza del Gesù e a quella del Partito Comunista in Via delle Botteghe Oscure, viene rinvenuto il corpo senza vita del presidente della Dc Aldo Moro all’interno del baule di una Renault 4 che era stata rubata diversi mesi prima e nascosta nell’angusto box di Via Montalcini.

Erano le sei di quella stessa mattina quando Mario Moretti entrava nella piccola stanza-prigione di Aldo Moro per svegliarlo dicendogli che bisognava andare via da quel luogo. Neppure il tempo di una barba per il presidente, tutto sarebbe accaduto in fretta stando alle dichiarazioni dei brigatisti.

Moro viene nascosto in una cesta di vimini e trasportato all’interno del box, dove c’è la Renault 4. Qualcosa però sembra andare storto e diversi colpi silenziati interrompono per sempre la vita del presidente. Viene ucciso. Cinquantacinque giorni di prigionia, nove comunicati, un rapimento avvenuto la mattina del 16 marzo del 1978 in Via Fani con l’uccisione dei carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e dei poliziotti che si trovavano sull’auto di scorta: Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.

Il commando che ha sequestrato Moro era composto da undici persone, rimangono però molti dubbi sull’identità dei partecipanti ma le indagini individuano Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Franco Bonisoli. Tanti i colpi esplosi quel giorno, troppi. La prima perizia ne individua 91, di cui 45 contro gli uomini della scorta di Moro. Un vero e proprio massacro. Morucci e Fiore sparano contro l’auto di Moro, invece Gallinari e Bonisoli contro la scorta. Tante ancora le ipotesi e le contestazioni circa l’appartamento in cui sarebbe stato detenuto Aldo Moro, la questione è ancora oggi oggetto di controversie. Nei processi successivi alla cattura delle BR è emerso che si è trattato di un appartamento in Via Camillo Montalcino, acquistato con i soldi ricavati dal sequestro Costa. Il covo delle BR era collocato all’interno del quartiere Magliana.

Proprio in quegli anni, ricordiamo, le "batterie" con a capo Franco Giuseppucci detto "Er Negro" avevano il pieno controllo nella Capitale che era a sua volta suddivisa in zone di comando e ogni quartiere era meticolosamente controllato da boss del calibro di Enrico De Pedis, Danilo Abbruciati, Maurizio Abbatino. In quegli anni, il quartiere Magliana era controllato proprio da Abbatino. I Maglianensi erano a conoscenza del sequestro Moro e di quanto stavano facendo le BR? Le BR avevano forse chiesto il "permesso" ai Maglianensi per poter agire indisturbati e fare tutto quel rumore nelle loro zone, durante e dopo il sequestro? Gli interrogativi sul sequestro Moro non si fermano certamente a questo singolare aspetto ma si estendono ad altri punti che mettono in luce fatti e dinamiche poco coerenti con tutto il resto della storia narrata dagli stessi protagonisti che hanno tenuto prigioniero Moro e poi lo hanno ucciso.

La mattina in cui viene portato nel bagagliaio della Renaut 4 all’interno di una cesta di vimini, la brigatista Braghetti racconta di aver incontrato l’inquilina dell’ultimo piano che insegnava fuori Roma: si salutano, scambiano due parole e poi la signora va via. Moro sente sicuramente il dialogo intercorso tra la brigatista e la signora del piano di sopra, perché non urla con tutte le sue forze? Come mai non cerca di salvarsi? Era realmente troppo stanco per farlo? Eppure era pronto per farsi la barba fino a poco prima, quindi abbastanza lucido nel compiere le azioni elementari. Una delle tante domande che non troverà mai risposta è la seguente: come mai, in quel preciso instante, le BR non hanno calcolato il rischio di essere scoperte dato che stavano portando Moro perfettamente sveglio e lucido? Il presidente della Dc avrebbe potuto urlare, scappare o richiamare l’attenzione degli inquilini, a meno che non fosse stato narcotizzato o bendato. Secondo quale logica di rischio le BR avrebbero trasportato Moro – vivo - all’interno di una cesta di vimini, rischiando quindi di essere visti dagli inquilini, per ucciderlo poi nel box di un angusto garage e non all’interno della "prigione del popolo" che invece era perfettamente insonorizzata e lontana da sguardi indiscreti? Gli interrogativi sono ancora tanti in merito ad una pagina indelebile della Repubblica Italiana ma è certo che in Via Fani non ci fossero soltanto le BR, ad oggi non si conosce neppure chi ha impugnato la pistola contro Moro o quale sia stata la "prigione del popolo".

Angelo Barraco
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