"La morte di Vannini sopraggiunse dopo il colpo di pistola ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli", che "rimase inerte ostacolando i soccorsi".

E il ragazzo morì sì per le lesioni causate dallo sparo, ma anche per "la mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l'effetto nefasto".

È quanto scrive la Cassazione nelle motivazioni della decisione con cui lo scorso 7 febbraio ha disposto l'appello bis per Ciontoli, la cui pena in secondo grado era stata ridotta da 14 a 5 anni, e i suoi familiari.

Vannini era nell'abitazione della famiglia Ciontoli, a Ladispoli, la sera del 17 maggio 2015 quando fu colpito da uno sparo e lasciato agonizzante per 110 minuti, fino alla morte.

In vista dell'appello bis si aggrava anche la posizione dei familiari coimputati di Antonio Ciontoli, che "presero parte all'omicidio", si legge nelle motivazioni della Cassazione. Dovrà essere esaminato anche a loro carico l'elemento del "dolo", per "la consapevolezza che ritardando i soccorsi il giovane sarebbe morto". Per i supremi giudici "non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso".

LE TAPPE DEL PROCESSO - In primo grado Ciontoli fu condannato a 15 anni per omicidio perché "nonostante avesse ferito Vannini ritardò i soccorsi e fornì agli operatori del 118 e al personale paramedico informazioni false e fuorvianti, cagionando così il decesso avvenuto alle ore tre del 18 maggio 2015 a causa di anemia acuta meta emorragica".

Per concorso colposo nell'omicidio furono condannati a tre anni anche i figli di Ciontoli, Federico e Martina, e la moglie Maria Pezzillo, per essere stati "spettatori del progressivo peggioramento delle condizioni di salute del Vannini, che per il dolore si lamentava ad alta voce".

In appello l'omicidio fu riqualificato come "colposo" e, tra le proteste dei familiari di Vannini, la pena per Antonio Ciontoli scese a cinque anni. Restò invariata quella per i familiari.

(Unioneonline/L)
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