La storia è una sequenza di corto-circuiti, una reazione a catena, fatti in apparenza lontani e slegati s'intrecciano nel racconto della contemporaneità, sono la trama e l'ordito della nostra vita quotidiana.

Cosa sta succedendo? Si chiede l'uomo della strada. Abbiamo di fronte a noi un mosaico, dobbiamo raccogliere le tessere e far emergere il quadro.

Il principale fatto in cronaca di queste ore riguarda la crisi in alto mare, un tema che tocca anche la Sardegna. Le navi delle Ong nel Mediterraneo che fanno rotta dalle acque al largo della Libia verso le coste italiane hanno sincronizzato le loro azioni e puntano tutte verso l'Italia. Si può essere d'accordo o meno con la linea dura di Matteo Salvini, si può condannare la sua politica o applaudirla, ma è lampante il coordinamento tra le Ong, l'obiettivo comune. È una scelta precisa, un piano che prevede di trasportare gli stranieri in Italia e non altrove, di certo non nel porto più vicino, visto che questo non sta accadendo.

Siamo di fronte a una battaglia ideologica in alto mare. Da una parte c'è lo Stato che cerca di far valere il principio della difesa e integrità dei propri confini, dall'altra l'idea che il mondo sia aperto, senza limiti, senza barriere fisiche e legali, una politica no border che diventa no limits. Questa idea si manifesta prima di tutto nella cultura, nella visione del mondo, nel cosmopolitismo dei suoi alfieri che affermano la validità di leggi universali superiori a quelle delle nazioni. (...)

Non a caso Carola Rackete, la capitana della Sea Watch 3, afferma di «non essere tedesca» ma europea. La sua mappa non prevede la parola "patria". Questa visione del mondo ha delle conseguenze immediate. Vediamole.

1) Se non esistono i confini, si dissolve, si diluisce, sparisce l'idea stessa di Stato e naturalmente delle sue leggi. L'universalismo filosofico si traduce in evanescenza giuridica, al punto che la frontiera cade e tutti possono varcarla senza temere alcuna reazione da parte dello Stato.

2) Se questo universalismo diventa sentenza in tribunale e precedente giuridico, lo Stato sarà completamente indifeso, tutta la sua attività di monitoraggio e prevenzione dell'immigrazione inutile, così come ogni sforzo per applicare il diritto.

3) Senza una politica di presidio e sorveglianza attiva del confine, i clan di trafficanti di uomini potranno organizzare il loro commercio di esseri umani con massimo profitto e reinvestirlo in altre attività criminali che a loro volta saranno fonte di problemi per gli Stati.

4) La politica no border nuoce gravemente alla causa dell'accoglienza di chi ha bisogno. Affidare agli scafisti la selezione delle persone che entrano in Italia è profondamente sbagliato, nessun Paese europeo accetta questo principio. E infatti non lo accettano, ma pretendono che l'Italia se ne faccia carico.

La Libia è in piena guerra civile, tutta l'Africa del Nord è instabile, il deserto libico è un cancello spalancato verso il Mediterraneo. Siamo di fronte a una situazione pericolosa. E mentre a Tripoli si muore e si bombardano i centri di detenzione dei migranti, assistiamo a una sfida aperta allo Stato italiano lanciata dalle Ong ("Sbarchi, offensiva delle Ong", titolava correttamente ieri il Corriere della Sera) e la risposta non può essere improvvisata, deve essere raffinata, meditata, efficace, non può essere affidata agli umori, ai ruggiti, alle roboanti dichiarazioni, perché questa azione di scardinamento dei confini si avvale del contributo di giuristi e politici, di una cultura diffusa nel sistema dei mainstream media dove lo stile di vita del cosmopolitismo con il trolley è una lingua comune.

Senza nessuna patria, il cosmopolita viaggia in first class, con il fast track, sempre al check in, vicino a parole agli ultimi, ma ben lontano dai reietti. Il suo totalitarismo culturale - che ha esercitato come egemonia del politicamente corretto - non ammette discussioni, egli ha sempre ragione, fa la rivoluzione in salotto e di solito non si occupa di cose fastidiose come il pane, il lavoro, la fatica. Egli non è realmente interessato al destino del migrante, si accontenta di vederlo sbarcare a terra in Italia, per scorno del governo, di Salvini, dei fascisti di andata e di ritorno che lui, dotato di antenne di livello superiore, vede ovunque. La sua utopia di solito evapora quando alla porta di casa sua sbarca la realtà. Quando questo accade, è troppo tardi.

MARIO SECHI

DIRETTORE DI "LIST"
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