La gravidanza della trentunenne di Prato, ai domiciliari con le accuse di atti sessuali con minore e violenza sessuale su minore, è stata "cercata e voluta per tenere legato a sé quel ragazzino del quale era innamorata".

Il neonato, dunque, "è stato usato come strumento di ricatto per continuare la frequentazione e i rapporti sessuali".

Lo scrivono i giudici del Tribunale del Riesame di Firenze nelle motivazioni del provvedimento con cui viene rigettata l'istanza di revoca dei domiciliari alla donna.

Ad anticipare la notizia è il quotidiano "La Nazione".

La donna qualche mese fa ha avuto un figlio dal ragazzino - che oggi è quindicenne ma all'epoca dei fatti aveva 13 anni - a cui dava ripetizioni private. L'indagine è partita ai primi di marzo, dopo la denuncia presentata dai familiari del ragazzino, e il test del dna sul neonato ha certificato che il papà è il ragazzino.

La donna, ascoltata in due occasioni dai pm Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli, ha sempre sostenuto di aver avuto i primi rapporti sessuali quando il ragazzino aveva già compiuto 14 anni. Versione smentita dallo stesso giovane nel corso di un incidente probatorio. E anche nelle motivazioni del provvedimento del Riesame si legge che "appare certo che al primo rapporto il ragazzo non aveva ancora 14 anni".

Nell'inchiesta coinvolto anche il marito della donna, indagato per alterazione di stato in quanto avrebbe riconosciuto come suo quel figlio pur sapendo, secondo l'accusa, che il padre era quel ragazzino cui la moglie impartiva ripetizioni private. Secondo i giudici la donna è una "manipolatrice", capace di manipolare anche il marito. E non ha ancora compreso la gravità di quanto accaduto.

(Unioneonline/L)
© Riproduzione riservata