Fa male Antonio Di Maio a protestare, nel videomessaggio dolente che ha postato in rete, per il fatto che i droni delle "Iene" e "Quarta Repubblica" abbiano più volte sorvolato il suo terreno di Mariglianella rivelandolo nei dettagli al mondo. Fa male perché quel drone, così come i servizi e le immagini sulla sua proprietà, con le reti da pollaio, la villetta prefabbricata, i foratini polverosi e lamiere abbandonate nel prato, piuttosto che inchiodare suo figlio Luigi Di Maio ad una ambizione di lusso fuori misura - come si era insinuato all'inizio - lo collegano ad un immaginario da Sud sgarrupato che ci è molto familiare.

La piscina di plastica azzurra in cui il leader del M5s è stato fotografato mentre faceva il bagno non è davvero la piscina sontuosa dei vip, o quella ambiziosa dei boss, ma piuttosto quella low cost che tutti gli italiani scrutano sugli scaffali di Mondo Convenienza chiedendosi se riusciranno davvero a montarla. Non sono la tinozza fai-da-te e i piccoli abusi della zia che possono affogare Di Maio, dunque. E nemmeno gli impicci del padre, che anche quando si scusa continua colpevolmente a giustificare il lavoro nero con l'alibi della crisi.

Ormai sappiamo tutto della storia di questa piccola impresa, dei mesi con contratto da manovale di Luigi, dei lavoratori che non erano in regola: la lente di ingrandimento che i media hanno giustamente applicato ai dettagli della biografia del vicepremier ha rivelato la bugia di un padre, ma non ha intaccato la sua immagine.

Persino gli elettori del Pd (ha spiegato il sondaggista Carlo Buttaroni da Nicola Porro) credono che questa vicenda sia politicamente irrilevante. Se non altro perché questo padre chiede scusa con un rito per lui quasi umiliante, mentre gli altri padri della politica finiti nel mirino della stampa hanno sempre spavaldamente negato ogni addebito. Il papà della Boschi - per esempio - facendosi difendere dalle scorte invece che rispondere sul suo conflitto di interessi e spiegare il suo operato, il papà di Renzi scagliando insulti e minacciando querele contro tutto il mondo, malgrado le condanne della sua società e le testimonianze dei suoi ex dipendenti.

Tuttavia Di Maio corre un rischio superiore a quello di affogare, metaforicamente, nella tinozza della zia. Il leader del M5s deve definitivamente girare le carte sul reddito di cittadinanza, e deve farlo ora. Deve pubblicare l'articolato definitivo del testo che regolerà l'investimento più importante di questo governo, definire i limiti di spesa esatti, le condizioni a cui se ne godrà e chi ne godrà. Tante interviste - sia le sue, sia quelle della sottosegretaria Laura Castelli - hanno definito la cornice in cui il governo vuole operare: un bacino di aventi diritto di sei milioni di cittadini, gli italiani più poveri, delle carte tipo postamat per percepirlo, un meccanismo di detrazioni qualora si fosse già proprietari di un immobile.

Sappiamo che la registrazione sarà digitale, che si potrà spendere per tutto tranne (giustamente) per il gioco d'azzardo. Sappiamo che durerà tre anni, che sarà legato all'Isee e che sarà accompagnato da un investimento enorme per il rilancio dei centri per l'impiego.

Ma il resto? A che condizioni si potranno rifiutare o accettare le famose offerte di lavoro a cui è condizionato il reddito? Cosa accadrà nella fase di transizione in cui i centri non funzioneranno? È stato detto che se una azienda assume una persona che percepisce il reddito avrà uno sgravio contributivo: bene, in che misura? Con che limiti? Si ripete che chi assume potrà godere di un bonus di una o forse due mensilità. Ottimo: ma se su questa aspettativa una impresa deve decidere una assunzione, non può bastare una intervista, serve una certezza. Ed è l'incertezza che blocca le scelte, e quindi l'economia.

Abbiamo spiegato su l'Unione Sarda che fino a ieri le carte di quota 100 e del reddito erano coperte perché legate alla trattativa con la Commissione europea. Ma adesso questa trattativa è aperta, e il governo non può più giocare al buio. Deve rivelare le sue poste, mettere nero su bianco e in maniera definitiva quanto investe. Non sono i droni che devono decollare, ora. Ma il Pil.

Luca Telese

(Giornalista, autore televisivo)
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