È in corso dalle prime luci del giorno l'esecuzione di sei ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti indagati nell'ambito degli sviluppi dell'operazione "Arruga".

I provvedimenti, disposti dal tribunale di Cagliari su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, vengono eseguiti nelle province di Cagliari, Sassari e Alessandria e vedono impegnati i carabinieri della compagnia di Carbonia insieme al personale dei comandi competenti per gli altri territori.

GLI ARRESTI - Di fatto sono stati arrestati: Yacine Messadi, algerino di 45 anni residente a Cagliari; Nidham Hammouda, nato in Tunisia nel 1986 e residente a Selargius; Sofia Tony, nigeriana classe 1986 residente a Sassari; e Bridget Tina Edomwony, nata in Algeria nel 1982 e domiciliata ad Alessandria. Tutti già noti alle forze dell'ordine e accusati di associazione a delinquere, sfruttamento e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, detenzione di banconote contraffatte, oltre a detenzione e spaccio di stupefacenti a minorenni.

La rotta seguita dai migranti (foto carabinieri)
La rotta seguita dai migranti (foto carabinieri)
La rotta seguita dai migranti (foto carabinieri)

LA TRATTA NEL SUD SARDEGNA - L'indagine "Arruga" è stata condotta dal dicembre 2014 dal Nucleo operativo della compagnia di Carbonia che, con due principali filoni, ha consentito di svelare l'esistenza di altrettante tratte di extracomunitari clandestini. Questi, una volta arrivati in Sardegna, venivano sfruttati da due capi dell'organizzazione criminale.

La tratta favoriva l'ingresso illegale degli stranieri che, in particolare nel quartiere cagliaritano della Marina, venivano impiegati per l'attività di spaccio al dettaglio della droga.

In particolare, a organizzare i viaggi dei migranti era Yacine Messadi: acquistava il motore e la barca, poi pagava lo scafista e gli dava istruzioni, infine teneva anche i contatti con le famiglie di origine.

Nel maggio 2015, i carabinieri avevano intercettato al largo di Sant'Antioco un barchino in legno con a bordo 5 nordafricani e lo scafista era stato arrestato. Ai migranti l'organizzatore aveva spiegato che dovevano dire di essere minorenni, e dovevano anche cancellare ogni traccia del suo numero di cellulare.

Terminate le operazioni al centro di accoglienza dovevano fuggire. Ai clandestini lo stesso algerino offriva un rifugio a casa sua e poi li utilizzava come venditori di droga in un traffico che lui stesso gestiva.

Tra il maggio 2016 e per tutto il 2017 ha favorito la permanenza irregolare sul territorio di numerosi stranieri.

Ad aiutarlo c'era anche Nidham Hammouda: era lui a rifornirsi di droga, soprattutto hashish, da terzi e la divideva con il suo socio per rivenderla infine al consumatore finale anche grazie all'uso di minorenni.

Messadi è apparso agli inquirenti come un musulmano che rispetta rigidamente le pratiche religiose ed è molto rispettato e temuto all'interno della propria comunità. Su di lui pende anche l'accusa di concorso in detenzione di banconote contraffatte: dopo aver contattato uno straniero che vive in Campania, aveva fatto arrivare al porto di Cagliari 5mila euro falsi che aveva acquistato per mille euro e che avrebbe smerciato nelle operazioni di vendita della droga.

LE PROSTITUTE A SASSARI - La seconda tratta emersa è quella che collega la Nigeria alla Libia e a Sassari, e che si incentrava su giovani donne che venivano avviate alla prostituzione nel nord Sardegna.

Sofia Toni e Bridget Tina Edomwonyi avevano il ruolo di "maman", mentre Williams Obashohan, nigeriano residente a Castelsardo, si occupava di finanziare la permanenza in Libia dei migranti prima della partenza verso l'Italia.

In patria le ragazze venivano individuate da tale "mama Vera", una nigeriana la cui identità non è stata definita. Era lei che anticipava il costo del viaggio - circa 7mila euro a testa versati sul conto del traghettatore - e una volta arrivate in Libia venivano affidate a tale "Frede". Le giovani rimanevano all'interno di veri e propri ghetti anche per settimane soffrendo fame, freddo, e anche le minacce e le avances dei loro carcerieri.

Una volta giunte in Italia, in Campania, ricevevano dalle "maman" schede telefoniche, documenti falsi e soldi, oltre a tutte le indicazioni su come allontanarsi e prendere il traghetto Civitavecchia-Olbia.

Quindi si procuravano una casa dove esercitare la prostituzione e anche abiti idonei, e iniziavano a lavorare per "riscattare" la loro libertà.

(Unioneonline/s.s.)

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