A Porto Torres, nella chiesa di Cristo Risorto, si è celebrata una messa di suffragio per l'anniversario della scomparsa di Gian Mario Mura. Il 19 marzo 2020, il giovane ventitreenne turritano moriva tra terribili sofferenze in un piccolo appartamento di Torbole, centro in provincia di Trento in cui abitava. Lavorava da mesi in una grande lavanderia industriale della zona.

Il suo decesso, avvenuto dopo una drammatica telefonata alla famiglia, aveva destato profonda commozione in tutta la Sardegna e non solo. Gian Mario lamentava da giorni - era il primo periodo del coronavirus - terribili mal di testa associati a forti stati febbrili. Pur recandosi due volte al pronto soccorso della vicina Arco è sempre stato dimesso dal personale sanitario. Addirittura una volta ha fatto ritorno a casa in taxi. Sottoposto a tampone (negativo), le sue condizioni continuavano a peggiorare giorno dopo giorno, sino al tragico epilogo della sera del 19 marzo. Il giovane turritano è morto quindi a casa sua, da solo, lontano dalla sua terra, la drammatica fine di un sogno che si era finalmente avverato: un posto di lavoro.

L'autopsia, eseguita in seguito, dopo che il cadavere del ventitreenne è stato custodito per 50 giorni in una cella frigo, ha stabilito che la morte sia sopraggiunta per meningite. La Procura di Rovereto aveva aperto un'inchiesta sul decesso e su eventuali responsabilità del personale medico che aveva visitato Gian Mario e poi l'aveva lasciato andare. A settembre 2020, a sorpresa, l'archiviazione del caso.

La famiglia ha presentato però ricorso, ma sugli sviluppi si conosce ben poco. Rimane invece il dolore di una città, dei familiari e degli amici, che nella chiesa di Cristo Risorto ieri sera hanno pianto ancora una giovane vita spezzata. Gian Mario Mura a Porto Torres non è stato dimenticato, e questa è una certezza. Pochissima però la voglia di parlare. "Ancora non ce la sentiamo" esclama Mattia, a nome di tutti i suoi amici. Sua madre Antonella è invece ancora una maschera di dolore, mentre Manuela, sua sorella, non ha mai perso la voglia di lottare: è soprattutto lei a tenere i contatti con gli avvocati. La ferita è profonda anche per Gavino, padre dello sfortunato giovane. "Vogliamo giustizia, non vendetta", sono le sue toccanti parole. Tutti però attendono notizie dalla magistratura trentina. Tempo ne è passato abbastanza, ma la famiglia non ha assolutamente intenzione di arrendersi ad una morte così atroce.
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