La vita migliore che sperava di conquistare sbarcando in Sardegna, lei che era partita dalla Nigeria per sfuggire alla miseria e alle violenze passando attraverso la Libia, si è rivelata da subito un'appendice dell'esistenza precedente. Il compagno, suo connazionale, beveva e la trattava come un oggetto di sua proprietà nonostante fosse incinta. La picchiava, la «umiliava», la «ingiuriava», la «minacciava». La violentava.

Quattro anni di inferno terminati quando, giunta al limite della sopportazione, la donna aveva presentato una querela ed era stata avviata un'indagine sfociata in un processo e, ieri, in una condanna rilevante: 11 anni di reclusione per maltrattamenti, violenza sessuale e lesioni.

È la sentenza pronunciata dai giudici della seconda sezione penale nei confronti di un imputato di 36 anni del quale il giornale non pubblica il nome a tutela della vittima che, parte civile con l'avvocato Alessio Alias, ha ottenuto una provvisionale di 30mila euro. L'uomo nel gennaio 2020 è stato arrestato per traffico di eroina, ma gli episodi giudicati in Tribunale risalgono al periodo giugno 2011-settembre 2015. Secondo la ricostruzione investigativa sin dall'inizio della convivenza picchiava la compagna con calci e pugni soprattutto dopo aver «abbondantemente» bevuto, la minacciava «anche con le forbici» e in una occasione era arrivato a lasciarla da sola nuda in strada.

Non solo, perché gli accertamenti degli investigatori hanno consentito di scoprire che l'imputato la immobilizzava «legandole i polsi con una cintura» e la costringeva ad avere rapporti completi anche quando era incinta. Poi, dopo averla colpita alla gamba sinistra con un ferro da stiro, averle tirato i capelli, averle morsicato l'avambraccio destro e averla colpita alla testa con la fibbia di una cintura, le aveva provocato un «trauma da strappamento del cuoio capelluto», ferita ritenuta guaribile in dieci giorni.

La donna in udienza ha confermato tutto davanti al collegio. Ed è arrivata la condanna.

(an. m.)

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