Una condanna a 3 anni e 4 mesi per aver tentato di uccidere il padre.

La sentenza per Alberto Ibba, 43 anni di Simala, è arrivata oggi dopo che nella precedente udienza il pubblico ministero Andrea Chelo aveva chiesto una condanna a 14 anni. L'accusa aveva ricostruito quanto accaduto nella notte tra il 19 e il 20 aprile 2019 quando Giovanni Ibba, 68 anni, venne trovato in gravissime condizioni sul pavimento di casa.

Dalle indagini e dalla stessa testimonianza dell'anziano era emerso che era stato il figlio a svegliarlo nel cuore della notte. Con una scusa lo aveva convinto ad alzarsi poi erano iniziate le sberle violente, poi le spinte fino a farlo cadere dalle scale. Gli avrebbe persino sbattuto più volte la testa contro il pavimento e avrebbe cercato di strangolarlo. Il pm aveva contestato anche la premeditazione ricordando che Alberto Ibba indossava i guanti, aveva bruciato i vestiti e non aveva chiamato i soccorsi.

La difesa, con l'avvocata Pamela Rita Puddu aveva cercato di smontare le accuse, in particolare aveva escluso la premeditazione sostenendo che la caduta dalle scale era stata accidentale e che non c'era stata nessuna spinta né c'era alcuna traccia del tentativo di strangolamento.

Il collegio dei giudici (presidente Carla Altieri, a latere Elisa Marras e Serena Corrias) ha riconosciuto l'accusa di tentato omicidio ma ha concesso una serie di attenuanti generiche al disoccupato. Ha escluso inoltre che ci sia stata premeditazione, mentre ha riconosciuto ad Alberto Ibba la provocazione da parte del padre. A Giovanni Ibba (parte civile con l'avvocato Rinaldo Saiu) non è stata riconosciuta alcuna provvisionale.
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