Non ce la possono fare, né i fenici, né i romani. Ogni volta che si imbattono con la storia dei sardi il primato gli sfugge di mano, come se niente fosse. Sino a qualche anno fa erano certi, gli uni e gli altri, di aver diffuso nel Mediterraneo occidentale la Vitis Vinifera, l'antica vite domestica. Poi, come spesso capita, non tutto va per il verso giusto, e le certezze franano all'incedere della casualità.

Galeotta fu la costruzione di una rotonda stradale sul crocevia per il Sinis. Circolari, come se Giotto fosse nato in quell'epoca, riaffiorano straordinari pozzetti nuragici, scolpiti nella roccia, come frigoriferi nei ghiacciai dell'Antartide. E, in effetti, la funzione di conservazione millenaria del loro tesoro l'avevano svolta in modo impeccabile. Al loro interno, infatti, gli scienziati dell'équipe del Centro Conservazione Biodiversità dell'Università di Cagliari hanno ritrovato ben 15.000 semi di vite. Tutti in ottimo stato di conservazione, nonostante i tre millenni sottoterra. Il carbonio 14, carta scientifica fondamentale per non manipolare la storia, usata per datare materiali di origine organica, dalle ossa al legno, dalle fibre tessili ai semi, è una sentenza: quei vinaccioli risalgono a 3000 anni fa, il cuore pulsante dell'epopea nuragica.

Nell'enclave di Sa Osa, dunque, ad un tiro di schioppo da Mont'e Prama, nel giacimento infinito di Cabras e dintorni, il popolo nuragico, mille anni prima di Cristo, impiantava vitigni e produceva vino. I dati archeobotanici e storici finora avevano assegnato il primato nel Mediterraneo occidentale ai fenici e ai romani. Poi, arrivò Sa Osa. La più importante rivista mondiale del settore archeobotanico, Vegetation History and Archaeobotany, pubblica i dati e ribalta la storia: sulla strada dei Giganti di Mont'e Prama si impiantavano le viti di cultivar a bacca bianca, antesignane di Vernaccia e Malvasia. Il primato del vigneto più antico nell'area mediterranea è del popolo nuragico.

Lo sfregio

Sarebbe stata una fantasiosa argomentazione per giustificare la piantumazione, alle soglie del 2015, di un corposo vigneto proprio sopra le antiche vestigia dei Giganti di Mont'e Prama. La Soprintendenza, braccio dello Stato nel governo della storia dei Sardi, però, ha usato altre argomentazioni per dare il via libera a quello che gran parte del mondo scientifico considera uno sfregio all'Olimpo dell'archeologia sarda.

Quella del vigneto piantumato sopra la necropoli di Mont'e Prama è molto di più di un'autorizzazione a vendemmiare sopra il più fulgido esempio di statuaria gigante. Dietro quell'autorizzazione si sta consumando una faida infinita tra il potere dello Stato che detta le condizioni e gli scienziati sardi, delle Università di Cagliari e Sassari, costretti a subire umiliazioni e virulente reprimende.

In ballo c'è il primato dei Giganti, della loro storia, della genesi e della loro riscoperta. Un continuo susseguirsi di atti e azioni con l'unico obiettivo di emarginare ed escludere gli archeologi sardi, quelli che per primi hanno riavviato nel 2014 la riscoperta dei Giganti.

In discussione c'è la moderna archeologia chiamata a confrontarsi con i retaggi del passato, con coloro che osteggiano senza pudore alcuno il cambio di passo. In pubblica piazza la Soprintendenza dileggia il connubio tra georadar e archeologi. Il mal riuscito tentativo è quello di riaffermare il ruolo di dominus assoluto nelle mani dello Stato, ovvero delle soprintendenze.

Su Mont'e Prama i dati e le date parlano chiaro. Il georadar sbarca sulle colline dei Giganti dopo 35 anni di silenzio dello Stato. Il ministero dei Beni Culturali, titolare con gli uffici regionali della competenza sull'archeologia, per oltre un trentennio è stato a guardare.

Il risveglio

A risvegliare il Sinis ci pensano due cattedratici, Momo Zucca, archeologo dell'Università di Sassari, e Gaetano Ranieri, geofisico dell'Università di Cagliari. Il loro progetto viene finanziato dalla Regione. I soldi sono pochi e non possono sprecarli in scavi a tentoni. Nella millenaria culla dei Giganti arriva il più moderno dei mezzi, il georadar. In otto giorni batte a tappeto l'intera collina. Il risultato è straordinario. Nella prospezione geofisica si intravede un recinto di quella che, secondo gli archeologi sardi, potrebbe essere una gigante necropoli-santuario, con edifici, strade e tombe di Giganti. Mettono in cassaforte ascisse e ordinate, indispensabili per individuare i punti cardinali del tesoro. Lo fanno in piena collaborazione con la Soprintendenza consegnando agli uffici di Stato i dati essenziali dell'esplorazione. Obiettivo: dimostrare l'esigenza di apporre un vincolo diretto su tutta l'intera area sondata dalle onde elettromagnetiche.

Lo scontro tra Università e Soprintendenza, però, sta per esplodere e si consuma quando arrivano i soldi dello Stato. Con le risorse finanziarie della Regione, la Soprintendenza c'è sempre. Con i soldi dello Stato succede l'esatto contrario. Le Università sarde vengono cancellate e arrivano le coop rosse dell'Emilia Romagna. Sono gli anni delle ruspe nel sito di Mont'e Prama. Ma è anche l'avvento dei vigneti, quelli autorizzati senza colpo ferire, nonostante i tracciati del georadar dicessero che in quelle aree ci fosse un potenziale archeologico unico ed esclusivo.

Il 2 ottobre del 2016 la Soprintendenza, incurante delle indicazioni del georadar, firma il via libera all'imponente piantumazione del vigneto, proprio dove il Sardus Pater, Giovanni Lilliu, ad intuito, nel 1977, e il georadar, con i rilievi del 2014, avevano segnalato la possibilità di nuovi edifici con la necropoli del Sinis molto più estesa. Niente da fare. Gli uomini di Stato vergano la carta intestata e scrivono: la Soprintendenza ha dichiarato l'inesistenza di problemi riguardanti la lavorazione superficiale del terreno e il completamento della piantumazione. Nel contempo, però, dichiara: la collocazione dei pali di testata dei filari del vigneto potrebbero incidere sul contesto archeologico. Solo dopo che i filari sono belli rigogliosi vengono disposti saggi archeologici. Troppo tardi, come testimoniano le foto che pubblichiamo. In mezzo alle vigne trovano di tutto, tombe, muri, strade e potenziali edifici.

Il dietrofront

La retromarcia della soprintendenza è postuma. Il 5 luglio del 2017, con il vigneto già in piena produzione, il segretario regionale ad interim Filippo Maria Gambari appone il vincolo su quelle aree, le stesse che tre anni prima erano state indicate dal georadar come suscettibili di ritrovamenti archeologici.

Nel frattempo il vigneto acquista valore. Le aree prima erano quotate intorno agli 8.000 euro a ettaro. Ora il valore sarebbe quintuplicato, senza considerare i copiosi finanziamenti che la Regione ha elargito all'intrapresa viticola. Dal tabulato dell'Argea, graduatoria unica regionale della misura per la ristrutturazione e riconversioni vigneti del 2015, emerge un finanziamento proprio in quell'area per 137mila euro. Ora la strada dell'esproprio a fini archeologici dell'intera collina si fa avanti, con costi esorbitanti e moltiplicati e soprattutto con un valore aggiunto a favore dei privati finanziato proprio dai fondi agricoli della Regione.

L'appalto

La faida di Mont'e Prama, però, non si ferma. Senza dire niente a nessuno Invitalia, la longa manus dello Stato, quella del commissario alle mascherine del Covid, affida, in nome e per conto del Ministero dei beni Culturali, un appalto per uno scavo nella collina dei Giganti. Elemosine da 60mila euro, per qualche scavo archeologico di imprecisata natura. Certo è che ci sarà un "dumperino" attrezzato con tanto di pala caricatrice. A vincere l'appalto è un'impresa calabrese, la Mirabelli Mariano srl di Castiglione Cosentino. Un signor nessuno che dalla Calabria arriverà nelle colline del Sinis per un lavoro sul quale ha offerto un ribasso del 25%. Significa che alla fine dei conti eseguirà lavori per 45.000 euro.

Non è finita. All'orizzonte della saga dei Giganti si affaccia la Fondazione Mont'e Prama, ultima invenzione a trazione romana per gestire l'affare. La propone il Ministro dei Beni Culturali Franceschini e non è un caso che le università sarde vengano totalmente escluse. Un gesto ostile e antistorico, scrivono gli allievi di Giovanni Lilliu. L'ennesimo scippo. Nello Statuto, ormai prossimo, della Fondazione prevedono la formula della presa in giro, «collaborazione con le Università». Se sarà come quella che c'è stata sinora si può preconizzare una nuova damnatio memoriae. A gestire quei 13 ettari, qualora venissero espropriati, non ci sarà nemmeno la Curia vescovile di Oristano che pure aveva di fatto donato, senza chiedere niente, il cuore della necropoli. Esclusa, senza spiegazioni. L'Arcivescovo di Oristano ha chiesto l'inserimento anche della Curia nella Fondazione, non foss'altro per l'immenso patrimonio della chiesa nell'area del Sinis. Per adesso nessuna risposta. Nella collina di Mont'e Prama solo silenzi e vigneti a caro prezzo.

MAURO PILI

(giornalista)

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