Bitti come Beirut. La sfida della normalità si infrange quando si spengono i riflettori della Piazza Asproni, cuore delle dirette con parabole e bandiere di Stato al vento. Se ti inerpichi sulla via dedicata al Capitano Emilio Lussu, che di trincee di montagna ne ha visto, t'imbatti su uno dei tanti tornanti che segnano come un anfiteatro il cuore del paese della Barbagia. Curve a gomito a segnare quella pendenza vertiginosa da azzerare con strade lungo costa che hanno profondamente segnato i loggioni della tragedia.

L'inizio del finimondo

I pneumatici delle auto in salita slittano sino a rinunciare all'arrampicata in quell'ultimo tratto dove nemmeno l'asfalto è riuscito ad arrivare. Per comprendere quello che è successo il 28 novembre scorso non puoi non solcare quest'ultimo baluardo di strada pubblica prima di raggiungere da terra il punto estremo della tragedia. La curva che si innesta sull'alveo del fiume ora è ripulita. Le pareti delle case che per prime hanno affrontato l'impeto dell'esplosione sono segnate ad altezza di terrazzo, scolpite dalla forza d'urto di quella mattina nefasta. E'qui il finimondo, in quell'alveo fermato dall'uomo, interrotto dalla tracotanza della modernità, quella che cancella un corso d'acqua prima vitale e poi letale. Lo sguardo rivolto verso la montagna è glaciale.

Cleopatra fuori dal tempo

Senza osservare i dettagli ti rendi subito conto che parlare di alluvione è fuori dal tempo, Cleopatra archiviata come una mezza pioggia. Quel rio Cuccureddu, fattosi fiume più di una volta, è esploso come una carica di tritolo sequenziata lungo tutto il paese, sino a valle. Il ferro vivo del cemento armato si erge a ridosso della stradina che immette su quella via Cavallotti diventata in un attimo valanga e frana di detriti e pietre ciclopiche senza precedenti. Il canale tombato, quel maledetto involucro di cemento armato conficcato lungo la montagna per guidare l'acqua dentro il paese, è esploso. Senza mezzi termini.

Un canale tombato saltato per aria (L'Unione Sarda)
Un canale tombato saltato per aria (L'Unione Sarda)
Un canale tombato saltato per aria (L'Unione Sarda)

Saltato per aria

Il blocco d'innesto nelle vie del paese non c'è più. Saltato per aria. E' rimasto quel groviglio di ferro che segna in modo indelebile il cambio di passo. Il coperchio di quel serpente di cemento armato ha sussultato con la violenza di un terremoto. Lasciando seri dubbi, come si vede dalle immagini che pubblichiamo, anche sulla corretta realizzazione oltre che sulla evidente sottovalutazione progettuale. La forza dell'acqua non solo l'ha fatto esplodere con pressioni violente ma lo ha in un attimo messo spalle alla riva, per riprendersi l'intera sezione del suo alveo. Due metri di larghezza di cemento armato blindato al cospetto di dieci/venti metri di corso d'acqua scavato dall'impeto furioso di quella esplosione di detriti e frane che con un carico liquido senza precedenti ha trasformato quel canale contronatura in una condotta esplosiva dilaniata dentro il paese.

Paese dilaniato

Le voragini si sono aperte con una forza d'urto impressionante, sventrando quegli anfratti stradali dentro il cuore di Bitti costruiti impunemente sopra quel corso d'acqua che si voleva a tutti i costi far sparire. Il tutto con un crescendo devastante, se è vero che l'apporto laterale sulla principale direttrice del fiume veniva rimpinguata quasi cinque volte da affluenti che dalla conca delle pendici circostanti si riversavano nel corso d'acqua. Se osservi lo scenario nascosto del disastro ti accorgi di quelle deflagrazioni nel centro del paese, con quei canali tombati che riemergono a favore della memoria collettiva che li aveva ormai rimossi, diventati per tutti solo strade di quotidiana fruizione. Eppure, con questa esplosione, è ritornato alla luce quel nefasto tentativo di mettere in galera il corso d'acqua.

La risposta è No

Osservi la sezione di quei canali interrotti dall'incedere "esplosivo" e ti rendi conto dell'arrembaggio. Dimensioni di ogni genere, la totale disomogeneità di quelle sezioni, l'improbabile diversità dei materiali usati per sellare il fiume. A monte cemento armato, a valle pietra e malta. In questi giorni, nel correre delle voci sottotraccia, la domanda riecheggia con la frequenza delle campane della chiesa San Giorgio Martire, nella vetta del paese. Le opere previste, e mai progettate sino alla fine, dopo l'avvento di Cleopatra, avrebbero salvato Bitti? Oggi la risposta senza mezzi termini è No. Lo dicono i geologi, lo sussurrano sottovoce coloro che pure hanno partecipato a quella elefantiaca e inutile procedura preliminare di progettazione di quegli interventi definiti di "mitigazione del rischio idrogeologico nel comune di Bitti".

Altro che 200 anni

Non sarebbero serviti a niente o quasi. Per un primo presupposto: quelle opere erano state calcolate con quelli che tecnicamente si chiamano "tempi di ritorno" di 200 anni. Tradotto significa che l'evento di Cleopatra si sarebbe potuto ripetere non prima di due secoli. A Bitti, invece, quel parametro di calcolo è saltato per aria come il canale tombato.

Il documento Sogesid (L'Unione Sarda)
Il documento Sogesid (L'Unione Sarda)
Il documento Sogesid (L'Unione Sarda)

Due volte in sette anni

Non solo un evento simile si è verificato dopo appena sette anni ma la sua violenza è stata almeno cinque volte superiore. E non si è trattato di alluvione. Questa volta è stato ben altro. Il piano d'indirizzi della Sogesid, di cui siamo in possesso, sottovaluta e mette in secondo piano quello che oggi è fin troppo evidente: è scesa giù la montagna, su tutti i versanti. Non frane ciclopiche, ma tanti cedimenti consistenti e diffusi, che hanno reso la colata detritica il vero dramma di Bitti 2020. Il documento intestato Commissario Straordinario Delegato della Regione Sardegna, predisposto dalla Sogesid spa, Ingegneria Territorio Ambiente, società di Stato, appare superato nel presupposto, tanto da suggerire ai più l'esigenza di azzerare il tutto. Lo dice senza mezzi termini il Presidente dell'Ordine dei geologi della Sardegna Giancarlo Carboni: «E' cambiato lo scenario di riferimento, non solo a Bitti, ma in tutta la Sardegna. La frequenza di questi eventi deve imporci un metodo di calcolo diversificato per la nostra terra. Servono nuovi parametri e nuove applicazioni. A questo si aggiunge che rispetto al disastro ultimo di Bitti non si può considerare marginale la colata detritica. E' stato l'elemento fondamentale e non si può ignorare nella futura progettazione. Sono cambiati tutti i presupposti progettuali - sostiene Carboni - e quelle opere devono essere totalmente ripensate».

Quel documento superato

Il documento di Indirizzo di Sogesid, avvallato e approvato da tutti i soggetti coinvolti, mette nero su bianco affermazioni che alla luce dei fatti attuali appaiono quanto meno fuori tempo. Basti pensare a quanto è scritto al capitolo 5.2.1 della relazione: «...in tutta l'area esaminata (i bacini del rio Cuccureddu e rio Giordano) non sono state riscontrate evidenze di dissesti di tipo franoso legati alla mobilizzazione repentina di grandi quantità di materiali». Al capitolo 6.3 la conclusione è ancora più disarmante: «preso atto dell'assenza di significativi fenomeni di dissesto franoso lungo i versanti». Le immagini, la devastazione, il territorio divelto, raccontano altro. Quel corso d'acqua è diventato in meno di due ore una valanga di detriti, centinaia di migliaia di metri cubi di fango, massi e terra che hanno fatto saltare per aria ogni certezza del passato. Non chiamatela alluvione. A Bitti, sussurrano gli anziani, non bisogna mai sfidare la natura.

Mauro Pili
© Riproduzione riservata