«Mi chiamo Alessandro Erbì, ho 33 anni e vivo a quota 129. Parlo di altezza, ovviamente. Ammetto che sulla carta d'identità ho fatto stampare una piccola bugia: 130 centimetri. Comunque pochi, lo so. I problemi per quelli come me raddoppiano».

L'assessore comunale a Sport e Cultura di Gesturi è un geometra disoccupato uscito indenne dalle perfide risatine adolescenziali e pure dall'autocommiserazione: «Ho sofferto di acondroplasia, cioè lo sviluppo parziale degli arti inferiori e superiori. Per metà della vita le cattiverie altrui mi hanno fatto male. Poi ho capito: il problema non sono io ma loro». Amministra un Comune di 1.200 anime: «Mi hanno coinvolto in questa esperienza con una lista civica e ne sono felice. I residenti erano milleseicento, poi la crisi ha colpito duro ed è ripresa l'emigrazione».

Quando si è accorto dello sviluppo fisico a rilento?

«Subito. Me lo facevano pesare all'asilo, alle scuole elementari, e anche dopo».

Come?

«Sfottò, battutacce».

Un ricordo sgradevole?

«Frequentavo la prima superiore. In classe un ragazzo mi prese in giro per la statura. I professori invece sono sempre stati splendidi, mi hanno difeso e tutelato».

Cos'è il razzismo?

«Una forma di pregiudizio nei confronti di chi ha una diversità: il colore della pelle, il credo religioso, una disabilità».

Come si sconfigge?

«Con una grande forza di volontà. Ormai qualunque cattiveria mi scivola addosso. Ho capito che non serve caricarsi sulle spalle questi problemi. Il punto è proprio questo: capire che il limite non ce l'hai tu, ma è una tara di chi si comporta in quel modo barbaro. Sino a 14-15 anni ne ho sofferto, poi mi sono creato la corazza indispensabile per andare avanti».

Quindi la soluzione è?

«Affrontare i maleducati».

Sicuro?

«I pregiudizi sono duri a morire: la mentalità di certe persone non cambierà mai, però un tentativo è doveroso farlo. La soluzione forse arriverà con le nuove generazioni».

I suoi familiari?

«Anni fa uno di loro ha bussato a casa di un bullo per mettere in chiaro le cose».

Problemi quotidiani?

«Tanti. Li considero uno stimolo ad imparare l'arte di arrangiarmi».

Un esempio?

«Le barriere architettoniche in troppi uffici pubblici; il bancone del bar così alto che per bere un caffè dovrei arrampicarmi su una scala; la pompa della benzina irraggiungibile nei nuovi rifornitori di carburante. La gente non si accorge di cosa significhi tutto ciò per chi ha una disabilità: ostacoli insormontabili che fanno precipitare la qualità della vita».

Pregiudizi sul lavoro?

«Ho fatto alcuni colloqui per i quali ero competente e preparato ma non ho mai avuto la soddisfazione di strappare un'assunzione».

Disoccupato per colpa della statura?

«Credo che abbia giocato un ruolo non secondario».

Peggio un giudizio o una risatina?

«Il primo. La risata lascia il tempo che trova, puoi passarci sopra».

Sport?

«Judo. Ho provato col calcio ma avevo difficoltà e l'ho mollato quasi subito».

Discriminazioni in politica?

«No».

Il suo difetto?

«Sono orgoglioso».

Vita sentimentale?

«All'inizio mi sentivo paralizzato. Non sono mai andato a cercare deliberatamente l'altra metà».

Paura dei contraccolpi emotivi?

«Temevo un rifiuto, ero insicuro e lo sono ancora un po'. Però se l'anima gemella dovesse arrivare ne sarei contento».

Le donne con lei sono state cattive?

«Quelle che ho frequentato non hanno mai mostrato pregiudizi».

Cosa pensa della canzone sul tema scritta da De Andrè?

«Il taglio è estremo. Non penso che le persone basse siano così avvelenate».

Dietro i razzisti c'è cattiveria o ignoranza?

«La seconda che ha detto».

Paolo Paolini

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