La rotta dei veleni d'Italia punta dritta su Serra Scirieddus. Profondo Sulcis, tra Gonnesa e Carbonia, un anfratto d'alta quota sorvegliato dai ruderi della vecchia attività mineraria, un crocevia che traguarda la costa da Fontanamare al Pan di Zucchero. E' qui, nascosta agli occhi indiscreti, tra strade improprie e tornanti di fango, che si staglia la collina dei rifiuti pericolosi, quelli che hanno fatto lievitare, anello dopo anello, una vera e propria montagna di veleni e denari. Una vorace fila di camion, potenti e ciclopici, si inerpica a passo d'uomo verso l'ingresso di quella discarica, prima Ecodump e ora Riverso. Un mesto rito, quello dell'interramento dei rifiuti pericolosi provenienti da ogni angolo d'Italia, che da tre anni si ripete ogni santo giorno sceso in terra. Nella parte a sud i più velenosi, quelli speciali a nord. Verso valle, laghetti carichi di liquidi putridi, percolati frutto della vitalità sotterranea della discarica che restituisce le acque piovane in formato cocktail mixato con ogni genere di veleno. Non è semplicemente una discarica, quella di Serra Scirieddus.

Carte nascoste

I documenti tenuti nascosti e inaccessibili, negati persino alle autorità preposte, raccontano un'altra storia. Inquietante e devastante. La maledizione dei veleni d'oltre Tirreno si abbatte su quella ex oasi mineraria alla fine del 2017. Prima qualche camion giunto con targa continentale al cospetto della collina contaminata e, poi, un tormentone indefesso sino a metà del 2020, quando si interrompe, almeno nei documenti, il flusso indistinto di ogni genere di agente inquinante proveniente da ogni angolo d'Italia. La discarica è autorizzata, ma con una postilla pesante come un macigno: vietato sotterrare veleni provenienti da altre regioni.

Di tutto e di più

Dal 2017 all'anno della pandemia, invece, in quel crocevia a due passi dai ruderi dei fasti argentiferi di Monti Onixeddu, è arrivato di tutto. Un business milionario scandito a ritmo impressionante con una escalation degna di una vera e propria scalata al potere dei rifiuti. Un'ingordigia che non contempla antipasti. Ed è proprio quella spasmodica corsa ad accaparrarsi la grande torta dei veleni italiani che ha aperto il pertugio indispensabile per scardinare i segreti di questa mega operazione, tutta proiettata a far diventare la Sardegna e il profondo Sulcis una vera e propria discarica d'Italia. La Riverso, società della famiglia Colucci, radici profonde nel napoletano, da sempre tutt'uno con gli affari dei rifiuti, è una società per azioni nata sulle ceneri di acquisizioni consumate tra peripezie giudiziarie e scalate familiari. Niente, sino ad oggi, aveva fermato l'incedere impetuoso di quei veleni, sino alla resa dei conti consumata a fine anno, quando la Regione ha sì autorizzato la costruzione del sesto e settimo anello della discarica ma con un vincolo che ha mandato su tutte le furie Colucci & company: divieto assoluto per rifiuti extraregionali.

Il divieto

La Giunta regionale, su proposta del servizio di valutazione impatto ambientale dell'assessorato competente, lo ha scritto senza mezzi termini nella delibera numero 59/17 di fine 2020: «La volumetria netta autorizzata è pari a 233.800 metri cubi, costituita da rifiuti provenienti esclusivamente dal territorio regionale». Un colpo letale al piano da sbarco nell'immaginaria isola dei veleni. I sogni milionari di importare gran parte dei rifiuti pericolosi provenienti dal nord e centro Italia in Sardegna si sono infranti con la forza d'urto di un bazooka. Allo scadere dei sessanta giorni dal provvedimento della Regione i legali di Riverso si sono presentati nell'arena del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna. In piazza del Carmine a Cagliari, sede dei giudici amministrativi, hanno conquistato, per adesso, solo un numero di protocollo, il "69" del 24 gennaio del 2021. Una dichiarazione di guerra, legale ed economica, con tanto di esplicita reprimenda sociale: se non fate arrivare i rifiuti dal resto d'Italia ci sarebbe un'ulteriore crisi occupazionale. Come per dire: se volete campare dovete accettare i veleni della penisola. Sulla discarica della Riverso, però, pende una pesante cappa di segretezza e lo scrive a chiare lettere il Servizio di tutela dell'atmosfera e del territorio della Regione: «In particolare la documentazione esaminata non consente di individuare la provenienza e la natura dei rifiuti extraregionali». E' qui, nel tentativo estremo di agguantare il business che sta scivolosamente sfuggendo di mano, che si apre lo scrigno dei documenti e delle carte senza pudore. Lettere vergate da società altisonanti nel campo dei veleni da smaltire, come se la lobby dei rifiuti pericolosi avesse deciso di trasformare la Sardegna nell'oasi dei loro affari più arditi. Atti che entrano a pieno titolo nella partita giudiziaria che i giudici amministrativi, per adesso solo loro, dovranno dirimere. I tempi dovrebbero essere ristretti, visto che la Riverso potrebbe aver richiesto l'immediata sospensione dei provvedimenti di diniego al conferimento di rifiuti continentali nella discarica di Serra Scirieddus. Di certo con questa mossa si apre uno squarcio senza precedenti su quello che ruota su questo affare ciclopico di rifiuti. Per capirlo basta scorgere le lettere che la Riverso si è fatta mettere nero su bianco da coloro che non hanno disdegnato di attraversare l'Italia e il Tirreno per raggiungere la discarica di Carbonia. La prima lettera agli atti arriva da Campagna Lupia, nella Riviera del Brenta, nella città metropolitana di Venezia.

Gli intermediari

Il mittente è Idea srl con socio unico. Si dichiara "intermediario" dei rifiuti conferiti da cantieri e impianti di stoccaggio collocati nel centro nord Italia, una sorta di pierre, anziché agguantare ballerini per sale da ballo intercetta scarti di ogni genere da smaltire e dirottare, sotto lauto compenso, nel Sulcis, nonostante il Brenta non sia a due passi dal Cixerri. Le affermazioni sono senza ritegno: «Nel caso specifico si tratta di veleni identificati come terre e rocce contenenti sostanze pericolose aventi contaminazione di amianto in matrice compatta. Il territorio nazionale attualmente si trova in un precario momento storico in cui le volumetrie disponibili sono estremamente ridotte. Il libero mercato - afferma ancora la soc. Idea - ha fatto si che l'impianto Riverso Spa potesse offrire condizioni economiche vantaggiose consentendo di acquisire clienti a distanze notevoli del Centro Nord Italia».

Traffici illeciti?

La società del Brenta si spinge oltre: senza la possibilità di usufruire della discarica di Riverso si «favorirebbe inesorabilmente il traffico illecito dei rifiuti con gli ormai ben noti effetti catastrofici per l'ambiente». Per questi signori dei veleni, meglio portarli in Sardegna. Ad apporre le impronte digitali sull'affare è anche uno dei colossi romani dei rifiuti, la Navarra Spa. Scrivono: «In Italia non esistono impianti autorizzati al recupero di rifiuti pericolosi parzialmente stabilizzati». Unica ipotesi di smaltimento in discarica "D", ovvero quella del Sulcis. E lo dicono apertamente: «Nel territorio della Regione Lazio non sono disponibili impianti di smaltimento per rifiuti pericolosi parzialmente stabilizzati e a livello italiano sono pochi gli impianti presenti con spazi ancora a disposizione».

La beffa dei treni

La beffa finale la firma la Sirchi, società di Como, compagine che gestisce rifiuti speciali pericolosi in tutto il nord Italia. In sintesi dichiarano: nella discarica di Riverso smaltiamo i materiali pericolosi provenienti dai cantieri di ammodernamento dei binari per conto di Reti Ferroviarie Italiane. E aggiungono, senza pudore: «Se non vi fosse questa possibilità della discarica della Riverso ci sarebbe la paralisi totale per lo sviluppo delle più importanti infrastrutture del Paese». Peccato che in Sardegna i treni viaggino ad una media di 60 km all'ora. Qui, nella terra dei Nuraghi, dell'alta velocità del nord Italia arrivano solo i rifiuti pericolosi. E' anche per questo che la Riverso ha chiesto di accogliere nella discarica di Carbonia un altro mezzo milione di metri cubi di rifiuti speciali e pericolosi extra regionali nei prossimi 5 anni, sino al 2025. Richiesta bocciata. La parola nei prossimi giorni passa al Tar Sardegna. Resta aperto il capitolo di quanto è stato seppellito negli ultimi tre anni in quell'enclave di veleni sulle cime del Sulcis. Un affare che, però, non riguarda i giudici amministrativi.

Mauro Pili
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