In questa valle mortificata dal tempo e dall'uomo, l'unico a non essersi fermato è il grande fiume, malato ma irriducibile. La Piana del Tirso è divisa in due dall'incedere del corso d'acqua che dalle montagne della Sardegna centrale attraversa il cuore dell'Isola sino alla grande foce, a monte della città di Eleonora. I simboli di questa terra si inerpicano in tutta la loro estensione stagliandosi all'orizzonte come contraltare del Gennargentu. Le ciminiere di Ottana sono tre, imponenti, in un deserto circostante che le rende ancor più invasive allo sguardo di chi attraversa la Diramazione Centrale Nuorese, la 131 dcn, quella che da Abbasanta si proietta, attraverso le zone interne, verso Olbia. Le due torri principali hanno smesso di iniettare fumi in cielo alla fine del 2016, quando la centrale elettrica ha incontrato lo sgambetto di Enel e amici.

La fabbrica dei jeans

L'altra, più contenuta, ma pur sempre simbolica, è quella della Legler, la fabbrica che produceva il tessuto dei jeans, vestendo milioni di giovani in tutto il mondo. Se entri in questo calvario industriale non passi inosservato. Con una spesa da nababbi, Invitalia, il braccio armato della spesa di Stato nelle aree di crisi, con qualche milione di euro ha piazzato riflettori a led e telecamere di sorveglianza ovunque. Peccato che qui da rubare non sia rimasto più niente. C'ha pensato, in un incubo durato già mezzo secolo, una miriade di profittatori che hanno impunemente prelevato carrozze di denaro di Stato lasciando solo inquinamento, degrado e disoccupazione. La Commissione d'inchiesta parlamentare, guidata da Giuseppe Medici, senatore liberale fattosi democristiano, si era convinta che l'unico rimedio alla piaga del banditismo fosse l'industrializzazione delle zone interne sino ad allora dedite alla pastorizia. Le conclusioni tanto superficiali nell'analisi quanto nelle soluzioni partì da un assunto che Medici e compagni misero nero su bianco: "La criminalità caratteristica della Sardegna è propria del mondo pastorale, che trova nella Barbagia il suo centro». La proposta fu un'economia con la retromarcia, imposta a tavolino, capace di sradicare cultura e tradizioni, ponendo le basi per un'attività industriale totalmente avulsa dal territorio e dalle sue peculiarità. In molti lasciarono i campi alla ricerca dell'Eldorado promesso. Persero tutto, in un battibaleno. Il percorso tracciato si rivelò vecchio ancor prima di nascere. La chimica, intravvista come fulgida speranza di sviluppo e crescita, venne da subito colpita da costi elevati di produzione a fronte di una globalizzazione che metteva in posizione privilegiata coloro che godevano di materie prime e manodopera da sfruttamento schiavistico. I ministri per il Mezzogiorno e delle Partecipazioni Statali, con l'avallo della Regione sarda, pianificarono lo sbarco dell'industria di Stato prima di tutto nella piana di Ottana.

Lo sbarco dell'Eni

Spedirono senza colpo ferire nel paese dei Bòes e Merdùles, le inquietanti maschere dello storico carnevale, le intraprese chimiche e tessili del colosso ENI, del gruppo SIR e dei Fratelli Orsenigo. L'Enichem e la Metallurgica del Tirso, nel 1973, furono le prime a gettare pilastri di cemento armato e ciminiere. Capannoni senza fine, dislocati sulla sponda est del Tirso, capaci teoricamente di sfidare ogni cattiva sorte. La scommessa, senza alcun legame con il territorio, era quella di produrre fibre tessili, acriliche e polimeri. Nacque Ottana Energia, una centrale in grado di produrre elettricità e vapore. E, infine, la manifattura chimica, per la lavorazione delle materie prime e la polimerizzazione. In pratica la produzione di plastica in pillole dalla quale, poi, creare, soffiandoci dentro aria calda, le bottiglie di plastica di quotidiano consumo. Il sogno industriale della piana di Ottana tracollò sul nascere. Dopo appena 5 anni, era il 20 maggio del 1978, la Metallurgica del Tirso chiude tutto e licenzia 450 lavoratori. E' l'inizio della fine. L'Enichem regge per undici anni. Alle soglie del 1984 innesta la retromarcia. Da 2800 dipendenti passa a 1330, fino al 1997 quando, tra un tira e molla infinito, manda tutti a casa, compresi quei duemila lavoratori dell'indotto.

De profundis

Arriva la Montefibre ma il de profundis è solo rimandato. Lo Stato batte in ritirata. Gli enti statali dettano l'agenda politica: in Sardegna non restiamo. Il business dei colossi petroliferi non contempla più la sfida industriale nell'Isola. Chiudono e se ne vanno, devastando un intero territorio a ridosso del Tirso, l'arteria idrica più importante della terra dei Nuraghi. Entrare negli impianti devastati dell'Enichem è impresa ardua. Prima di solcare il filo spinato di militare memoria occorre accertarsi che la Procura di Nuoro non abbia apposto i sigilli del sequestro. Qui, il disastro ambientale, è visibile ad occhio nudo. Se, però, varchi la soglia dell'inferno capisci la spregiudicatezza della calata chimica dello Stato. Le immagini che pubblichiamo sono eloquenti, lo sarebbero di più se potessero riprodurre l'eco di quel sasso lanciato nel sottosuolo di questi capannoni carichi di ogni veleno.

Falde inquinate

Sotto questa distesa di travi e pannelli prefabbricati di cemento armato c'è una sottospecie di scantinato dispiegato in tutta la superfice immensa dello stabilimento. Doveva essere una sorta di camera d'aria per non mettere a contatto le lavorazioni chimiche e inquinanti con le copiose falde acquifere che attraversano il terreno. In realtà, oggi, al posto dell'aria, c'è un mare d'acqua. Inquinamento che galleggia e penetra nelle profondità rendendo tutto difficilmente controllabile. Qui, nella valle del Tirso, la regola che chi inquina paga non vale. Sono tutti scappati, a partire dagli uomini di Stato che in questa landa desolata e inquinata hanno seppellito di tutto e di più. Le bonifiche sono rimaste parole vuote, l'unica appetibilità sono le montagne di soldi che dovrebbero restituire coloro che hanno calpestato la dignità di questo territorio. Dopo la fuga dei colossi di Stato è stata la volta dei "prenditori seriali", quelli che approfittando del secondo turno dell'industrializzazione di questa piana non si sono fatti pregare.

Gambe levate

Progetti altisonanti, capannoni da mille e una prateria, tasche piene di denari di Stato e, poi, fuga a gambe levate. A differenza di quanto avevano fatto i precursori della scalata industriale i novelli profittatori si sono spinti anche oltre: capannoni realizzati di tutto punto, mai aperti e subito abbandonati, ovviamente dopo aver incassato. L'investimento, così lo definiscono i progetti impunemente finanziati, è sempre quello del bancomat della 488/92. Legge senza limiti e senza controllo. E' il caso della Cartonsarda. Doveva riciclare cartone. In realtà ha solo intascato una marea di denari. Fallita prima di nascere con un capannone da far invidia ad una distesa di decine e decine di campi di calcio. Struttura a prova d'incendio, viste le lavorazioni. Peccato che per due volte le fiamme lo abbiano preso di mira. C'è, poi, la distesa dei capannoni della vecchia Metallurgica del Tirso. Passati di mano due o tre volte ed ora blindati. C'è un caseificio ciclopico, dimensioni sufficienti per tutto il latte ante-industrializzazione. Mai aperto. Ci bazziga qualcuno, ma alla vista di auto sconosciute si allontana di tutta fretta.

Niente rombo

Niente rombo di motori nella Air Mobility. Dovevano produrre macchinine ad aria compressa, le Airpod. Le avevano preannunciate in pompa magna sei anni fa. I cancelli della quattro ruote ad aria compressa sono sbarrati con tanto di lucchetto antiscasso. Niente da fare per la Prodex, fantomatiche produzioni farmaceutiche con tanto di gigantesco immobile, ovviamente vuoto. Se uno lo racconta in pochi ci credono. Decine e decine di fabbriche costruite e abbandonate. Una valanga di soldi pubblici in un deserto che langue. Ad Ottana, adesso, è l'ora di Haematococcus pluvialis, una microalga componente dello zooplancton che produce astaxantina. Il progetto lo hanno presentato in silenzio nel Municipio di Ottana. I novelli imprenditori dicono di avere le idee chiare. Vogliono costruire 600 bioreattori per la produzione di Astaxantina di grado farmaceutico. Se necessario, è scritto nel progetto, la fabbrica potrà produrre anche Spirulina e Clorella. Ecco, nella Piana del Tirso, mancava giusto la Spirulina.

Mauro Pili
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