Zegone, nomignolo scolpitogli addosso per la sua cecità, era cieco ma vedeva lontano come pochi. All'anagrafe Salvatore Deriu Mocci di Bosa era il vignaiolo. Di lui, già negli anni Settanta, se ne parlava ovunque, anche fuori dall'Isola. Le sue gesta enologiche avevano tramandato ai giorni nostri uno dei vitigni più eccelsi della terra di Sardegna, la Malvasia. Dell'esclusiva vendemmia tra il Fiume Temo ed il Rio Mannu ne era il primo mentore. Un'enclave racchiusa in un microclima come pochi. La regione è quella della Planargia, insenatura incantata tra Alghero e Oristano, baciata dalla costa rivolta ad occidente. Racchiude in un sentiero di vitigni dorati i borghi di Bosa, Suni, Tinnura, Flussio, Magomadas, Tresnuraghes e Modolo.

Rapito dalla Malvasia

Mario Soldati, il celebre scrittore, giornalista, saggista, regista, sceneggiatore e autore televisivo quando, era settembre inoltrato del 1975, si inerpica sulle colline della Planargia è convinto che lo stiano per rapire. Una macchina color argento lo tallona nelle curve di quello sconosciuto e segreto paesaggio che si adagia da Bosa verso la costa, bagnato dal mare e dalla segreta Malvasia. Il banditismo imperversa in Sardegna. Con lui c'è la giovane moglie. Solo poco più avanti capisce che nessuno intende rapirlo, almeno fisicamente. Alle sue spalle lo insegue la macchina con a bordo uno dei padri nobili della Planargia: Salvatore Deriu Mocci, Zegone, uno dei maggiori produttori della Malvasia di Bosa. Lo doveva prelevare sulla strada per Sassari ma all'appuntamento con l'inviato speciale arrivò tardi. Il suo autista si dovette inventare pilota per raggiungerlo nei tornanti verso casa. Mario Soldati stava lavorando alla terza serie della sua monumentale opera letteraria "Vino al Vino". Lui, Soldati, i luoghi, non se li fa raccontare da nessuno. Li vuole toccare con mano, ci vuole ficcare dentro il naso, per respirarne emozioni e profumi intensi. Il Maestro amava ripetere: «Il vino è qualcosa che vive e che fa parte della nostra vita, raccontarlo vuol dire parlare di noi, di persone e di paesaggi». Il suo diario di viaggio è poesia, confessione antropologica allo stesso tempo: «In quest'Isola di gente dura, seria, dignitosa dovevo fermarmi solo pochi giorni, e invece rimarrò un mese».

La ribalta della Planargia

Un mese infinito alla scoperta di quella Sardegna nascosta tra vigneti e cantine, dall'Ogliastra alla Baronia, dal Campidano alla Planargia. Non gli sfugge niente, dai dettagli dei paesaggi alle profonde venature della terra. Quel block notes fitto fitto di appunti indelebili è testimone cartaceo di una sceneggiatura che scorre liscia come un copione cinematografico, impresso come il Temo sulle sponde dell'antica città regia di Bosa. Soldati ascolta le dritte del Piero Angela della gastronomia, quel Luigi Veronelli che per primo aveva fatto entrare il mangiare nelle case degli italiani attraverso un tubo catodico, quando i cuochi e i sommelier in tv erano degli illustri sconosciuti. Ed era stato Veronelli a raccontargli di Salvatore Deriu Mocci, mastro illuminato dei vignaioli della Planargia. Soldati della Malvasia di Ciecone (Zegone) scriverà in sintesi estrema: «luminosa finissima, leggera, setosa, profumata, saporosa di rosa e ginepro. Soprattutto completamente secca».

La Denominazione di Origine

La fortuna volle che, nonostante la sua cecità, Zegone sapesse traguardare l'orizzonte. Nel suo cammino di esegeta della Malvasia incontrò un altro illuminato, Giovanni Battista Columbu, patriarca e poeta incantato di questa terra. Capitato per caso in Planargia per amore e famiglia Giovanni Battista comprese da subito l'esclusività di quella terra e di quel vitigno. Zegone, lui e pochi altri, percepirono lontano un miglio che quel vino soffuso e dorato come pochi dovesse essere protetto. Non si persero d'animo, la missione era alta e lungimirante, far diventare la Malvasia di Bosa tra i primi vini Doc in Italia. Denominazione di Origine Controllata. Il massimo riconoscimento di tutela, per il prodotto ma anche e soprattutto per quelle terre che lo generano. Terre fertili al punto giusto, l'equilibrio naturale tra le caratteristiche chimico-fisiche e quelle organolettiche di quei vitigni esclusivi. Terre inalterabili, equilibrio unico tra rocce bianche scolpite dal vento battente, da quel sale che vola lungo i pendii di quel mare che bacia la costa a due passi da quei vitigni. Una miscellanea che nessun laboratorio riuscirebbe a riprodurre. Non ci potrebbe essere la Malvasia di Bosa senza la Planargia e nemmeno la Planargia senza la Malvasia. Il blu cobalto di un mare intenso sfiora quelle terre uniche nel suo genere, scrigno estremo per gli arditi studi geopedologici di ogni orizzonte: suoli tufacei e calcarei, spesso incrociati con marne, dove il vitigno della Malvasia ha trovato la sua culla ideale. Il vitigno del resto nasce per e con terreni sciolti, magri e soleggiati, poveri di azoto e sostanza organica, ma ricchi di potassio. Solo grazie a quelle caratteristiche la Malvasia di Bosa si staglia nel paesaggio con grappoli medio-piccoli, stretti e a volte serrati. Un unicum irripetibile. Colore trasparente d'oro, limpido, apoteosi di profumi floreali e fruttati, delicati ma decisi: fiori di pesco, rosa, lentischio, elicriso, macchia mediterranea, miele amaro di corbezzolo, brezza marina. Un bene sacro nella terra di Planargia. Mario Soldati non fu mai sequestrato, ma fu rapito dal nettare degli Dei, come lo descrisse la moglie in quel viaggio impresso nell'enciclopedia dei suoi capolavori letterari.

Nella terra degli Dei i fanghi pugliesi

Ora in quella terra del nettare degli Dei si affaccia l'olezzo putrido e fangoso degli scarichi fognari del continente, sospinti in questa terra illibata da affari e intermediari, sommelier del denaro pronti a mettere a rischio l'equilibrio del Creato in questa sacra terra di Malvasia. Quelle terre che il giro vorticoso di denaro intorno all'affare delle fogne pugliesi ha rischiato di violentare in gran silenzio. Malsana idea di miscelare quella polvere di terra, carica di ideali microcosmi geologici, con fango putrido che nel resto d'Italia hanno bandito come inquinante. Se non fosse stato per una Procura attenta come quella di Oristano probabilmente quelle terre sarebbero ancora minate alla radice della loro antica storia e del fascino segreto di una delle grandi produzioni della Sardegna vitivinicola. Quelle viti mozzate la notte scorsa nel cuore della Planargia sono un vile attentato ad una persona che si batte con il suo comitato per difendere la salute degli abitanti e di quelle terre. Quelle piante di Malvasia decapitate con criminale malvagità sono, però, un gesto che offende quel ben di Dio incastonato nelle colline di questa terra.

L'inchiesta della Procura ha sancito il diritto di quella terra di non essere alterata in alcun modo con lo spargimento di rifiuti, perché tali restano anche se miscelati con inerti di vario genere. Ed è questo uno dei vulnus principali di questa operazione, tutta protesa a spargere nelle terre della Malvasia, quelli che tecnicamente si voleva spacciare per ammendanti ma che, sia sul piano sostanziale che legislativo, erano e sono rifiuti.

I fanghi fognari? Sempre rifiuti

Fanghi fognari che, secondo quanto scrive l'Arpas, l'Agenzia regionale per la protezione ambientale, nella riservata relazione per la Procura, non potranno mai diventare fertilizzanti e che semmai sono veri e propri inquinanti ambientali. Lo scrivono senza mezze misure nel dossier Magomadas: lo spargimento e la produzione di ammendanti sarà, inoltre, segnalato al Dipartimento dell'ispettorato centrale della tutela della qualità e delle repressioni frodi dei prodotti agroalimentari del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Infatti, scrivono i tecnici dell'Arpas, sia il mancato raggiungimento della "fine del rifiuto" sia la mancata ottemperanza alle prescrizioni che il decreto prevede per la produzione di ammendante con fanghi, obbligano a classificare come rifiuti sia i fanghi usciti dalle vasche di trattamento che il prodotto della loro miscelazione con terra. Di conseguenza - conclude il braccio ambientale della Regione - il loro successivo spandimento in terreni agricoli si configurerebbe come attività illecita di gestione e smaltimento rifiuti.

Il blitz dell'Arpas

Per fermare i fanghi fognari pugliesi in Planargia, mosche a catinelle e puzza dirompente come il maestrale, l'Arpas mette a segno un blitz cruciale: sotto accusa finiscono i carichi di melma fresca giunti a Magomadas tra ottobre e novembre scorsi. Il verbale di contestazione, finito dritto dritto sul tavolo della Procura, che riproduciamo, non lascia adito a dubbi: 54 camion provenienti dalla Puglia scaricati nell'impianto non sono risultati accompagnati da "idonea certificazione" in grado di dimostrarne l'avvenuta stabilizzazione. Come per dire: nessuno sa cosa hanno trasportato e quali fossero le caratteristiche di quel putrido liquame dalle caratteristiche nauseabonde. Il piano di utilizzare quei fanghi fognari, che in Italia nessuno vuole, direttamente o miscelati nella terra del vino di Zegone e degli Dei è un sacrilegio, per la Procura è affare penale.

Mauro Pili

(giornalista)

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