"Affrontiamo un rischio calcolato" siccome "non possiamo aspettare un vaccino", ha dichiarato il premier Conte nell’annunciare la "riapertura" del Paese. E infatti, con la pubblicazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 17 maggio 2020, in vigore da ieri 18 maggio (in sostituzione del precedente DPCM 26 aprile 2020), recante "Disposizioni attuative del decreto legge 25 marzo 2020 n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da covid-19, e del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid 19", si è formalmente dato inizio, sia pure per molti ma non per tutti, alla Fase del c.d. ritorno alla normalità e di reale convivenza col virus.

In particolare, stando alle spiegazioni fornite da Palazzo Chigi all’esito del Consiglio dei ministri, il decreto - legge 16 maggio 2020 sarà utile a "delineare il quadro normativo nazionale all’interno del quale, dal 18 maggio al 31 luglio 2020, con appositi decreti od ordinanze statali, regionali o comunali, potranno essere disciplinati gli spostamenti delle persone fisiche e le modalità di svolgimento delle attività economiche, produttive e sociali". In buona sostanza, e dicendolo altrimenti, le attività economiche e produttive potranno essere riavviate nel pieno rispetto di eventuali linee guida regionali idonee ad assicurare il contenimento del contagio, e in assenza delle quali varranno le linee guida nazionali.

Al di là delle criticità sollevate dal Governatore della Regione Campania, che non ha mancato di esprimere il suo deciso disappunto in merito ai contenuti dell’intesa faticosamente raggiunta tra i diversi livelli di governo ritenendola solo un modo come un altro, quasi un escamotage del Governo Centrale, per scaricare "tutte le decisioni sulle Regioni", non pare possa essere revocato in dubbio che anche stavolta, nonostante gli innumerevoli attacchi trasversali diretti e indiretti, a prevalere, grazie anche alla sapiente regia del governatore dell’Emilia – Romagna Stefano Bonaccini, sia stata proprio la linea precauzionale e temperata costantemente seguita dal premier non solo nel pieno rispetto del proprio ruolo istituzionale, ma anche in ottemperanza all’accorata esortazione dell’attuale presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, la quale, in occasione della Relazione Annuale sulla attività della Consulta, aveva individuato nella "leale collaborazione di tutte le istituzioni, compresi Parlamento, Governo, Regioni, Giudici", la vera, unica e utile "chiave per affrontare l’emergenza", di modo tale che "l’azione e le energie di tutta la comunità nazionale (potessero) converg (ere) verso un unico, condiviso obiettivo".

Ma cosa si intende, esattamente, per "rischio calcolato" e "leale collaborazione"? Si tratta di due concetti disgiunti, oppure, nella circostanza contingente, sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro? È possibile intravedere, nel raccordo tra i due richiamati differenti concetti, il prevalere di un atteggiamento ispirato a un non troppo celato centralismo, oppure l’innegabile garbuglio di interessi e di competenze coinvolte, al contrario, non può che necessitare della costante attivazione di meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di governo al fine di giungere a decisioni quanto più possibilmente condivise? L’intesa raggiunta all’esito della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome tradisce l’intento di de-responsabilizzare lo Stato a tutto discapito delle Regioni medesime? Come cambia, se davvero cambia, il rapporto tra lo Stato e le Regioni in tempo di pandemia?

Gli interrogativi forse, potrebbero apparire di poco conto e di scarso interesse, e, di conseguenza, le risposte ai medesimi, purtroppo, forse fin troppo scontate, soprattutto laddove non si voglia tenere nella giusta considerazione, per un verso, l’esigenza di assecondare la tentazione, da taluni lamentata, alla riaffermazione di un principio di supremazia dello Stato, e, per altro verso, e per converso, la tendenza a far prevalere, più a torto che a ragione secondo il mio umile punto di vista, le sempre più insistenti spinte autonomistiche differenziate e autoreferenziali dei vari governi regionali.

Eppure, sempre secondo il mio sommesso avviso, le riflessioni sollecitate dagli interrogativi poco sopra proposti sono molto più interessanti di quanto si sia indotti a ritenere. Intanto perché appare incontrovertibile, nella sua lapalissiana evidenza, il collegamento funzionale tra il "rischio calcolato" e la "leale collaborazione" allorquando si consideri, da una parte, che la "leale collaborazione", quale principio costituzionalmente garantito, presuppone la cooperazione costante tra i diversi livelli di governo del territorio siccome tutti facenti parte del medesimo ordinamento nonostante la diversità di funzioni e struttura, e laddove si consideri, dall’altra parte, che il concetto di "rischio calcolato", per quanto possa apparire una contraddizione in termini, rappresenta in realtà soltanto l’esigenza di esprimere sul piano pratico il riflesso misurato di quella medesima "leale collaborazione" nell’ottica della ripartizione concordata e condivisa delle responsabilità.

Quindi perché, a ben considerare, la volontà di voler a tutti costi attribuire all’attuale esecutivo un atteggiamento politico comportamentale ispirato allo stretto centralismo, ossia a una metodologia politica, per così dire, ispirata alla concentrazione dei poteri politici e amministrativi negli stretti ambiti degli organismi centrali dello Stato in piena contraddizione col concetto di federalismo, è destinata a infrangersi rovinosamente laddove solo si consideri, per un verso, l’esigenza di ricondurre a unità il sistema in conseguenza dell’originario scomposto moltiplicarsi di iniziative regionali del tutto disarticolate rispetto alle lenee direttrici nazionali, e laddove si consideri, per altro verso, il disposto dello stesso dell’articolo 120 della Costituzione, il quale, nel suo secondo comma, espressamente prevede, e disciplina, in combinato disposto con l’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, ricorrendone le circostanze, il potere sostitutivo dello Stato stesso in caso di pericolo stringente per l’incolumità dei cittadini.

Infine perché a manifestarsi con maggiore intensità, negli ultimi tempi, pare essere stato, per converso, complice la apparente debolezza del potere centrale, proprio l’impeto autoreferenziale dei vari governi regionali dettato con buona verosimiglianza dalla necessità dei rispettivi protagonisti come da più parti evidenziato di assicurarsi la visibilità necessaria in funzione recuperatoria del consenso a discapito della valorizzazione del confronto ragionato col governo centrale.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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