«Sì, ho pensato di non farcela. Quel virus mi stava distruggendo: febbre, dolori lancinanti, tosse da spaccarti le costole, un senso di soffocamento e il disperato bisogno di ossigeno. Sono stato a un passo dal finire in terapia intensiva. Il passato da atleta mi ha aiutato. Nei momenti più difficili ho pensato di essere in gara, sui miei pattini a rotelle. Rivivevo i momenti di sofferenza, gli sforzi per poter tagliare il traguardo. Mentalmente mi è servito molto. Alla fine ho vinto la sfida più importante della mia vita. Ho battuto il Covid-19».

Le conseguenze

Alessio Gaggioli, 44 anni di Carbonia ed ex campione di pattinaggio, deve dosare le poche energie anche nel parlare. Dal 2007 vive in Gran Bretagna: è manager degli assistenti di volo della compagnia inglese British Airways. Ha lasciato l'ospedale di Slough, a trenta chilometri da Londra, da quasi un mese dopo un ricovero durato tre settimane. Quel dannato virus gli ha lasciato diversi segni nel corpo: «I polmoni sono ancora in sofferenza. Ho delle lesioni alle costole causate dai violentissimi colpi di tosse. E poi aritmia e tachicardia, strascichi dell'infiammazione, come capita al 25 per cento dei pazienti colpiti in modo grave da coronavirus», spiega. Ora sta cercando di recuperare le forze. Piccole passeggiate all'aria aperta nella speranza di ritornare presto alla normalità e alla vita di sempre, sconvolta dall'arrivo del Covid-19.

Alessio Gaggioli
Alessio Gaggioli
Alessio Gaggioli

Il titolo più bello

«Questa esperienza», confida, «mi ha fatto rincontrare, grazie ai social, tanti amici del mondo del pattinaggio, del calcio, della scuola, dell'Isef, del lavoro. Mi hanno dato una forza enorme. Ecco, pur nella sua drammaticità e sofferenza, è stato un momento splendido della mia vita. Ho un debito con mezzo mondo. E l'amore ricevuto è il titolo più bello che mi sia mai capitato tra le mani». Eppure di vittorie ne ha portate a casa nella sua carriera: due record del mondo, 14 medaglie nei campionati mondiali, 23 titoli europei, 41 italiani e ha ricevuto la medaglia d'oro al valore atletico dal Coni. Ha lasciato a 26 anni il pattinaggio: «Dovevo iniziare a pensare al mio futuro perché questa disciplina non mi dava da vivere». Si è tolto non poche soddisfazioni anche da allenatore, portando ad alti livelli una campionessa come Laura Orrù.

La febbre

La vita di Gaggioli è cambiata lo scorso marzo. «Ho lavorato molto, effettuando diversi viaggi tra Corea del Sud, Europa, Stati Uniti e Sud Africa», ricorda. «Il virus stava già facendo paura e io mi mettevo in isolamento in albergo. A bordo però non erano ancora consentite le mascherine. Probabilmente mi sono ammalato in aereo». Il 20 di marzo è comparsa la febbre: «Brividi e una temperatura a 39,5. Ho avuto subito paura. Ma in Inghilterra la gestione dell'emergenza era più distaccata di quanto avveniva in Italia. Mi hanno detto di stare in isolamento a casa».

La grande paura

Le sue condizioni sono peggiorate. Il 26 marzo è anche svenuto: «Non respiravo». Nell'ospedale di Slough è stato aiutato da un infermiere italiano di Foggia e da un radiologo campano innamorato della Sardegna. «Avevo una brutta polmonite. Ma prima di farmi il tampone sono trascorsi altri due giorni. Il 28 la conferma: positivo al Covid». È stato trasferito in un sottopiano: «Qui», spiega, «avevano realizzato un reparto Covid. Ero in una specie di cella in uno scantinato». Sono stati momenti difficili: «Ho rivalutato il sistema sanitario italiano. Soprattutto il rapporto umano dei medici italiani: in Gran Bretagna sono più freddi. Stavo malissimo. Non dormivo per la paura di non svegliarmi più. Non ero in me».

La felicità

La cura con eparina, paracetamolo e antibiotici (tre diversi) ha dato i suoi frutti. «Ho visto due persone morire. E ho temuto anche io di non farcela». In solitudine ha lottato. A metà aprile le dimissioni e il ritorno a casa, dalla compagna. «Il mio passato da sportivo e il fisico da atleta mi hanno certamente aiutato. Così come l'affetto ricevuto grazie ai social: un carburante incredibile. E ora sono qui a raccontare la mia vittoria più bella».

Matteo Vercelli

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