Oramai decretare di notte, e soprattutto “in solitudine”, sembra quasi diventata un’abitudine per il nostro Premier “Giuseppi”, il quale da ultimo, sebbene in gravissimo ritardo rispetto a quanto richiesto dalle regioni più colpite dal virus (che a fronte dei tentennamenti del governo hanno nel frattempo ben pensato di provvedere da sé), si è risolto nel senso di chiudere qualsiasi attività che non sia per così dire strategica per l’attuale assetto del Paese.

Infatti, proprio ieri sera, ha apposto la propria firma sul Dpcm 22.03.2020, l’ulteriore, quasi ci avesse preso gusto, che introduce ennesime misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica derivante dal Covid-19. Misure ancora più restrittive della nostra libertà di spostamento e di attività, valide sull’intero territorio nazionale, con effetto dalla data odierna e fino a quella del 3 aprile prossimo.

Premesso che questa schizzofrenica e ripetuta attività di decretazione personalistica più che offrire certezze alla popolazione, purtroppo oltremodo confusa e dubbiosa nei confronti dell’interpretazione corretta da attribuire alle varie prescrizioni, tradisce invece inesorabilmente la debolezza e il senso di smarrimento di chi ci governa il quale, dal canto suo, sembra proprio ignorare che lo strumento utilizzato rappresenta solo una misera, debolissima e per nulla autonoma fonte di diritto di rango inferiore, mi domando, come tanti, che fine abbia fatto il Parlamento, la cui funzione di controllo, in questo momento, e più che mai, sarebbe, come di fatto è, fondamentale, soprattutto laddove si consideri, per un verso, l’esigenza primaria di dover rassicurare tutti i cittadini sul pieno rispetto e salvaguardia dei loro diritti costituzionalmente garantiti seppure momentaneamente compressi, e per altro verso, la necessità di scongiurare il pericolo che il ripetersi di queste limitazioni, anche avvalendosi di strumenti normativi tanto labili, possa divenire, nel prossimo futuro, una drammatica prassi consuetudinaria.

E allora, se così è, come di fatto è, perché il Parlamento non viene chiamato ad interloquire in decisioni che impongono un rigoroso bilanciamento tra il principio del diritto alla salute, costituzionalmente garantito, e quello, altrettanto costituzionalmente garantito della libertà di movimento? Questi Dpcm, che sono né più né meno che atti individuali di pertinenza del Premier di turno e che incidono sulle nostre libertà fondamentali, hanno la forza normativa idonea a raggiungere lo scopo? E soprattutto i Dpcm possono essere disinvoltamente impiegati per comprimere queste libertà fondamentali? Perché Conte si ostina ad agire in autonomia nonostante la palese difficoltà, e conseguente ed evidente incapacità, di rispondere tempestivamente e chiaramente alle sollecitazioni provenienti dai vari Presidenti di Regione? Perché lo stesso Conte si ostina nei fatti a far convergere su di se decisioni rilevanti per la vita del Paese esercitando palesemente una sorta di potenza schiacciante del Governo a discapito del Parlamento?

Siffatti interrogativi sono tutt’altro che di scarso momento giacchè dalle potenziali risposte possibili discende una valutazione di validità, o meno, dell’operato di chi ci governa, ossia di un Presidente senza partito “reggente” una maggioranza appiccicaticcia e scomposta, seppure legittima e, di conseguenza, una valutazione di validità di quei provvedimenti allo stato privi del necessario intervento delle Camere. Intanto, perché l’emergenza epidemiologica, benchè sembri quasi blasfemo il doverlo ricordare, non ha certamente cambiato la circostanza che l’Italia sia una Repubblica Parlamentare, conseguendone che il Premier non può certamente “approfittare” della situazione per accentrare interamente, quanto incautamente, su di se poteri e anche funzioni che non gli competono assorbendo e confondendo l’imprescindibile ruolo di controllo spettante al Parlamento. Quindi, perché le istituzioni, quali appunto il Parlamento, giammai dovrebbero andare soggette ad una mortificazione delle proprie competenze, soprattutto in un momento in cui la delicatezza delle decisioni da assumere presuppone, o almeno dovrebbe presupporre, l’esercizio ininterrotto di quel potere di controllo del rispetto dei principi costituzionali compressi in nome dell’interesse nazionale oggi messo duramente alla prova. Inoltre, perché non è chi non veda, che l’incessante e defatigante attività egocentrica ed autoreferenziale di generica decretazione del Premier, è servita unicamente ad ingenerare una condizione di maggiore incertezza a cagione della a – specificità delle disposizioni assunte, troppo lontane dalle esigenze delle singole realtà regionali sulle quali, per ciò stesso, i vari Governatori più avveduti, hanno ritenuto, con maggiore efficacia, di adottare anticipatamente misure mirate alle esigenze contingenti. Infine, perché, come rilevato da più parti, essendo il Dpcm un atto avente natura amministrativa, e quindi sottratto al controllo del Presidente della Repubblica e del Parlamento, la sua adozione in funzione di compressione di diritti costituzionalmente garantiti, appare probabilmente inopportuna laddove solo si considerino due ordini di circostanze:

1) una compressione di tal fatta, pur in piena emergenza epidemiologica, andrebbe prevista solo dalla legge o altro atto avente forza di legge;

2) appare piuttosto dubbio che il DL di riferimento più volte richiamato nei Dpcm, il 6/2020, valido per le cc.dd. zone rosse, possa essere considerato un idoneo supporto normativo legittimante ogni ulteriore limitazione in ragione della sua alquanto sommaria formulazione.

L’Italia non sarà mai un regime totalitario e pertanto il Premier, lungi dall’accentrare i poteri su di sé, dovrebbe rispettare i principi dello Stato di diritto quale siamo.

Giuseppina di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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