Christian Solinas ha provato a metterci una pezza distribuendo le mascherine e affermando che la tutela del personale medico e sanitario è una "priorità inderogabile", ma quello dei contagi negli ospedali in Sardegna è diventato un vero e proprio caso.

"Il fatto che dei positivi oltre il 50% in Sardegna e il 90% a Sassari e Olbia sia tra il personale sanitario è di una gravità di livello internazionale", denunciano le segreterie territoriali di Cgil, Cisl e Uil, snocciolando dati allarmanti, ancor più se confrontati con quanto accade nel resto d'Italia e del mondo.

"In Italia gli operatori positivi sono l'8%, in Cina il 4%. Negli ospedali e nelle strutture di ricovero dell'Isola medici e infermieri sono stati lasciati soli, senza protezioni e direttive univoche di fronte all'epidemia", affermano senza mezze misure i sindacati, denunciando un piano d'emergenza che "ha mostrato gravi criticità e lacune già da quelli che dovevano essere i presidi di selezione e diagnosi dei positivi, diventati dei focolai".

Per le sigle è inoltre "inaccettabile ogni riferimento a responsabilità di medici e operatori in prima linea con gran sacrificio e abnegazione di fronte all'emergenza, esposti a rischio contagio senza dispositivi di protezione individuale a norma di legge".

Ancora: "A Sassari il caso di Ebola non ha insegnato niente a chi governa la sanità, i tagli indiscriminati, con riduzione di finanziamenti, posti letto e personale ha depauperato i servizi sino all'affanno attuale".

Le sigle confederali chiedono poi a Solinas e all'assessore Mario Nieddu "se sia una coincidenza che all'Aou di Sassari, dove mancano figure apicali di riferimento, c'è stata la maggiore incidenza di casi positivi tra i sanitari", o se "sia una coincidenza che in Cardiologia, senza direttore da gennaio 2019, c'è stato un focolaio con pazienti e operatori chiusi 80 ore in reparto". E ancora, se "siano una coincidenza le tante infezioni ospedaliere" o se "non siano carenti programmazione, previsione, organizzazione, direttive, ofrmazione e investimenti".

"Occorre ricorrere a competenza e professionalità - è la conclusione - ma nei coordinamenti delle Unità di crisi non ci sono infettivologi e rianimatori, ma figure della società civile e imprenditoriale che, pur stimate e degnissime, non hanno conoscenze mediche, infettivologiche ed epidemiologiche".

Intanto è esploso anche il caso delle associazioni e cooperative sociali che svolgono il servizio di Emergenza di base per il 118, pronte ad interromprere la loro attività "se non verranno dotate di opportune e adeguate scorte di dispositivi di protezione e se gli operatoi non verranno equiparati agli operatori sanitari con l'esecuzione dei tamponi e l'adozione di adeguati protocolli d'emergenza".

Lo hanno comunicato alla Regione i rappresentanti di otto sige che assicurano, con 198 mezzi e 5mila tra volontari e soci, un servizio capillare a tutta l'Isola.

"Non è nostra intenzione abbandonare la popolazione in questo grave momento di crisi e ci viene da piangere doverlo solo immaginare, ma è impossibile operare così. Da giorni i nostri operatori sono mandati a svolgere le attività di soccorso senza protezioni o con dispositivi ottenuti grazie all'approvvigionamento a prezzi inimmaginabili, cui si provvede in proprio. Non abbiamo ricevuto alcun supporto dalle aziende sanitarie, se non qualche fornitura minimale e ridicola di mascherine solo per alcune associazioni", si legge nella missiva inviata per conoscenza anche ai Prefetti.

(Unioneonline/L)
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