E' stato tradotto in sardo, per la tredicesima volta: il calendario storico dell'Arma dei Carabinieri si arricchisce di una nuova produzione speciale. Ed è un successo annunciato se si va a guardare la tiratura: è il terzo in un podio ideale dove il primo posto è occupato dall'edizione in italiano diffusa in un milione di copie. "Rinnoviamo con passione una tradizione consolidata, il nostro è un omaggio alla Sardegna, terra ricca di storia e peculiarità": il generale di divisione Giovanni Truglio, comandante della Legione Carabinieri Sardegna, fa gli onori di casa davanti a una folta platea all'interno della caserma Zuddas di Cagliari. Nell'introdurre la serata ricorda come la struttura del calendario storico quest'anno sia "un po' diversa". Sì, perché si tratta di un calendario da leggere: dodici racconti, uno per ogni mese, scritti da Margaret Mazzantini e sottolineati dai bozzetti di Mimmo Palladino. "E' un racconto in chiave moderna che riafferma i nostri valori tradizionali", sottolinea Truglio. "Ogni episodio è una situazione di vita vissuta nel quotidiano operare dei carabinieri, uomini e donne. La scrittrice è brava nel far raccontare ogni vicenda al protagonista, restituendo alle vicende un tratto di umanità che non viene mai meno. Anche in Sardegna ogni giorno i carabinieri si confrontano con una serie di vulnerabilità sociali e se ne prendono cura. La nostra abitudine a occuparci delle fasce deboli ci porta ad accumulare una grande esperienza, e questo viene raccontato nel calendario." Che viene presentato attraverso un filmato proiettato su un grande schermo. Ma c'è una grande sorpresa. Ed è solo la prima: i racconti sono introdotti da dodici inediti documenti custoditi nel preziosissimo (e inaccessibile) archivio storico dell'Arma. Momento di grande curiosità che attira ancora di più l'attenzione. Subito dopo il generale Truglio passa la parola a Maurizio Virdis, docente di Filologa romanza all'Università di Cagliari, il traduttore dei racconti di Mazzantini. "Passare da una lingua a un'altra è come passare da un mondo all'altro cercando di incastrare il significato per far tornare tutto senza peraltro dare della Sardegna un'idea folcloristica ma recuperando le parole che si vanno perdendo insieme allo spirito e all'anima della cultura sarda". Il docente spiega come ha lavorato: "Ho cercato di usare la lingua dei nostri tempi per ricostruire episodi che sono perlopiù fatti di cronaca. Ed è proprio per questo motivo che quest'anno ho messo una particolare gioia nell'approccio a questo lavoro: il calendario parla della vita quotidiana e contiene meno retorica. C'è spazio per l'umanità dei singoli protagonisti perfino nell'ansia del singolo militare di fronte al compito che gli viene assegnato. Questo mi ha dato uno stimolo in più". Per portare a termine la traduzione Virdis fatto ricorso ai dizionari ma non solo: "Ho chiesto a chi parla correntemente il sardo". Il pubblico in sala viene accompagnato nel racconto attraverso la lettura di Gianluca Medas. Ed è la seconda sorpresa: l'attore, narratore, regista legge il primo degli episodi, con una musica di sottofondo in un angolo allestito ad hoc per creare un'atmosfera teatrale. Quindi Aldo Accardo, storico e docente universitario, presidente della Fondazione Siotto artefice dell'iniziativa, si concentra sul tema della libertà accostandolo a quello della lingua.

Il comandante della Legione Carabinieri Sardegna (L''Unione Sarda - Chiappe)
Il comandante della Legione Carabinieri Sardegna (L''Unione Sarda - Chiappe)
Il comandante della Legione Carabinieri Sardegna (L''Unione Sarda - Chiappe)

"Ce l'ho ancora nelle orecchie. Qualcosa la capivo, la gran parte no. Ero bambino e mi piaceva il suono aspro, duro, diverso dal sardo che parlava mia madre a Iglesias. E mi rammarico di ricordare solo il suono perché era il racconto dei soldati di Oliena che avevano fatto la Grande guerra. Nel 1958, insieme ai miei genitori ero andato a salutare i familiari di un soldato, Sebastiano Congiu, che mio nonno aveva ricordato in un libro di memorie. Sono tornato a Oliena due anni fa ed ero insieme al sindaco che ha lo stesso nome di quel soldato. In quell'occasione ho ritrovato quelle che nel 1958 erano due bambine, le nipoti del soldato, ora signore della mia età. Ed è stato allora che ho capito che quel suono mi è rimasto". Accardo parte proprio dal suono: "Questa esperienza deve essere vista al di là di una riflessione su lingua e dialetto e su come costruire una cultura uscendo dai folclorismi, per essere avviata su un tema solo. La libertà". Il perché è presto detto: "Viviamo in un mondo dove l'affermazione di una lingua - elementare - non ha il significato di unire ma è uno strumento di utilità, cioè di servizio, cioè di servitù, cioè di servilismo. Abbiamo bisogno di lavorare molto sulle parole, utilizzarne quante più possibile. Il modello che ci si propone ora è estremamente elementare: 1.200 parole e forme verbali ridotte. Questo non ha facilitato l'incontro ma ha invece consentito strutture di servizio. Oggi molti professori fanno lezione in inglese, lo hanno chiesto pure a me, e facciamo lezione in un cattivo inglese senza badare alla sostanza delle cose. Difendere la lingua significa difendere la libertà, un complesso di valori, idee, mentalità, cultura". Tutto questo, ammonisce Accardo, "non deve essere predicato ma fatto. La lingua sarda per molto tempo è stata presentata sull'Isola come una bandiera velleitaria e insieme retorica di divisione. I sardi dell'800 l'avevano vista in una chiave di unione, con la schiena dritta e la consapevolezza della dignità". Aldo Accardo lega quindi la traduzione del calendario dell'Arma dei Carabinieri in sardo a una battaglia che è insieme di libertà e dignità. "Non è facile ma su questa strada deve procedere lo sforzo della nostra comunità. Non si tratta di introdurre il sardo nelle scuole ma di conservare la consapevolezza che ci troviamo di fronte a una memoria. Che va studiata, come l'italiano, insieme a ortografia, grammatica e sintassi. Per scrivere parole dritte e giuste. Questo impone uno sforzo indispensabile per produrre un pensiero. Il sardo è portatore di una cultura: non lo dobbiamo soffocare ma difendere. Ed è una battaglia per difendere la diversità, l'unica a rendere possibile l'incontro e la comunione tra le persone".
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