Tra molteplici incertezze e altrettante speranze, il giorno del voto in Emilia Romagna si avvicina, e gli italiani tutti, non solo gli emiliano-romagnoli, ne attendono con fervore e curiosità l'esito siccome potrebbe rivelarsi in ogni senso decisivo soprattutto, se non proprio esclusivamente, per le sorti di una regione tra le più virtuose d'Italia.

Stefano Bonaccini o Lucia Borgonzoni? Ma davvero la scelta tra i due competitor, espressione di ideologie politiche non solo contrastanti ma addirittura antitetiche, rappresenta un dilemma da sciogliere, oppure l’esito è talmente scontato da rendere inutile ogni discussione? E poi, l'esito stesso di queste elezioni di carattere regionale, qualunque esso sia, avrà ripercussioni sull'attuale assetto dell'esecutivo e sulla stessa legittimazione di Zingaretti, quale segretario dei Dem, oppure resterà circoscritto nel ristretto ambito della regione interessata? Tutti a porsi queste domande. Chissà poi perché, considerato che nessuna attinenza ha, o dovrebbe avere, una competizione elettorale di carattere regionale sulla tenuta del governo centrale. Non fosse altro per le differenti dinamiche e valutazioni, rispetto alle cc.dd. politiche, che sorreggono e precedono quelle urne territoriali, caratterizzate inevitabilmente dal riflesso, positivo o negativo, dell’attività sia del consiglio regionale uscente nel suo complesso, sia della persona già chiamata a presiederlo e, in particolare, a governare.

Al centro destra, ed in particolare a Salvini, sostenere l’ipotesi dell’interruzione dell’esperienza di governo giallo rossa nel caso di vittoria della Borgonzoni, priva di effettiva esperienza pratica come amministratore territoriale, fa certamente comodo, ed in fondo, proprio dal centro destra è partito questo tormentone col chiaro intento di creare il "caso" su cui discutere non avendo probabilmente altri argomenti da spendere avverso l’intraprendenza e l’indiscussa capacità di governo del rivale Dem. Proprio per questo, e per tanto altro, ritengo gli interrogativi suddetti, se non proprio superflui, comunque inutilmente distorsivi.

Intanto, perché, anche a voler prescindere dal fatto che una eventuale vittoria del centro destra sarebbe da considerarsi storica in una regione da sempre baluardo rosso, ed anche a voler prescindere dalla scelta dei 5 Stelle di non replicare in Emilia Romagna l’alleanza col PD, necessitata dall'esigenza impellente e disperata di recuperare, sia pur errando nei modi, a mio modesto avviso, la fiducia del proprio elettorato, che invece necessiterebbe di ben altre "iniezioni" di identità partitica e ideologica, queste urne non avranno nessuna concreta ripercussione pratica sulla tenuta del governo "Arancione" a trazione Conte bis giacchè, se vincesse Bonaccini, non solo si concretizzerebbe il brusco e definitivo arresto dell'avanzata leghista, ma addirittura assisteremo al rilancio in grande stile del PD, ossia della forza politica dominante dell'attuale esecutivo, che di riflesso, camufferebbe un eventuale quanto probabile flop dei pentastellati, mentre, invece, se vincesse la Borgonzoni, la "scossa" conseguente, si intenda in senso figurato, per quanto forte, avrebbe il solo effetto di blindare l’alleanza giallo rossa a Roma quanto meno fino al momento della prossima elezione del Presidente della Repubblica.

Quindi, perché se davvero vogliamo sostenere che le elezioni in Emilia Romagna saranno un test importantissimo, di certo non lo saranno tanto per il PD, considerata l'eccellente prestazione di Stefano Bonaccini, che fungerebbe da metro di paragone, quanto piuttosto per la Lega, che proprio in quella regione si gioca il tutto per tutto, in ogni senso, a prescindere dal risultato, per una ragione tanto banale quanto semplicissima: se vincesse Bonaccini, la Lega subirebbe il brusco tracollo dei consensi tornando alle note bassissime percentuali storiche, e altrettanto dicasi se invece vincesse Borgonzoni e la regione fino ad oggi virtuosa cominciasse a traballare e finisse per entrare in esercizio provvisorio al pari di talune altre regioni attualmente governate dal centro destra, come la nostra amata Sardegna. Infine, perché l’errore fondamentale perpetrato "diabolicamente", si fa per dire, e narcisamente dal leader padano nella specifica circostanza, è quello di aver completamente delegittimato, fino quasi ad annullarla, la figura della candidata Presidente di Regione Borgonzoni, la quale appare costantemente assistita, quasi necessitasse di un amministratore di sostegno, dal proprio "capitano", che nei vari comuni emiliani e romagnoli parla per suo nome e conto, impedendole di fatto, salvo gradite eccezioni, di accreditarsi tra i suoi corregionali, e di affermare le proprie qualità politiche ed umane, lasciando così trasparire, purtroppo, e nel contempo, non solo una scarsa fiducia nelle potenzialità della candidata prescelta, che bene di certo non appare agli occhi del paese, ma anche l’esigenza spasmodica e logorante di rimarcare costantemente come determinante la propria leadership all’interno del partito e della coalizione.

In politica, come nella vita, c'è chi amministra e chi, invece, si accontenta di farsi amministrare, ma la differenza, all'evidenza, è di sostanza. Mentre colui che ha amministrato ed "amministra", facendosi unico portavoce potente di se stesso, è un leader indiscusso, colei che accetta di farsi "amministrare" invece, leader, neppure del governo regionale, lo sarà mai, squalificandosi in partenza.

Se poi aggiungiamo che l’Emilia Romagna è conservatrice per tradizione, che non sempre lasciare la strada vecchia per la nuova è conveniente e che le Sardine, vantanti al loro seguito pure il padre della Borgonzoni, hanno dato il loro contributo alla causa rossa, allora possiamo dire che forse i giochi sono praticamente fatti.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato, Nuoro)
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