"Molti pensano che non scivoleranno mai nel cono d'ombra della malattia. Si considerano immuni al rischio di contrarre un tumore. Se invece accade capiscono di aver sbagliato ed entrano in un'altra logica".

Claudia Lai è una guerriera di trentasette anni che combatte il mostro e i pregiudizi, annota sui social cedimenti e ripartenze, si cura e aiuta gli altri a fare altrettanto. Ha contratto una specie di meravigliosa infezione verbale che le fa dire esattamente ciò che pensa. Come quando accostano proditoriamente il suo nome a quello del marito: "Io sono Claudia, non la moglie del calciatore Radja Nainggolan. Mi piacerebbe essere vista e considerata come un essere umano".

Com'è nata l'idea di raccogliere fondi per il reparto di Oncoematologia pediatrica del Microcitemico?

"Ho la fortuna di potermi curare ma c'è tanta gente che non può affrontare il periodo più difficile della vita nel modo giusto. Siccome il novanta per cento delle persone ha la passione per il calcio, mettere all'asta le maglie dei giocatori della serie A era il modo più semplice e veloce per racimolare una certa somma. Sarebbe bello che tutti facessero la loro parte per aiutare i bambini. Quelli ricoverati al Microcitemico non hanno vissuto un bel Natale".

Le maglie?

"Le ho procurate. Ho tenuto buoni rapporti con le mogli e i compagni delle varie squadre in cui ha giocato Radja".

Un aiuto da suo marito?

"Sarebbe stato tutto più semplice ma ho preferito fare da sola per capire dove posso arrivare con le mie gambe".

La somma?

"Trentaduemila euro raccolti in venti giorni, tutti destinati all'acquisto di macchinari. Sono rimaste cinque maglie che vorrei conservare per un'altra asta nel periodo di Pasqua. Nel frattempo raccoglierò altri cimeli di guerra".

Tanti sarebbero scappati dal dolore. Lei ha messo la faccia per i piccoli pazienti.

"Sono forte, però quando mi hanno diagnosticato il tumore ho avuto un crollo. Volevo solo la mia famiglia. Ho passato mesi particolarmente brutti, la depressione sempre in agguato. Mi hanno aiutato le mie due bambine. Ho preso in mano la situazione, l'ho affrontata. Aiutare gli altri è terapeutico, fa bene al cuore".

Come l'ha saputo?

"Per caso. Nel seno avevo una ghiandola grande come una nocciolina. Mamma mi ha suggerito di fare una visita. Ho chiesto se fosse possibile farla a Cagliari ma i tempi erano troppo lunghi. Sono tornata a Milano e mi hanno visitato il giorno dopo. Il tumore era già al quarto stadio, mi hanno operata d'urgenza".

Com'è cambiata?

«È un'esperienza così brutta che ti spegne. Parlarne mi è servito tantissimo. Avevo bisogno di confrontarmi con donne che conoscessero questo tunnel. Mi hanno spiegato come decifrare gli effetti delle cure e i problemi, perfino i dolori».

Un esempio?

"Mi hanno raccontato che il bruciore alla testa annuncia la caduta dei capelli. Quand'è accaduto ero preparata".

La reazione?

Sorride e scherza col fotografo: "Lei lo sa, vero? Senza capelli si sta meglio, meno problemi, l'ho sperimentato su me stessa".

La famiglia?

"Mamma e papà sono stati i pilastri, soprattutto durante il primo mese di chemioterapia".

Delusioni?

"Alcune che consideravo amiche si sono limitate a un messaggino formale ogni mese, stop. Si impara da tutto. Ho ridisegnato la mappa delle amicizie".

Un consiglio ai pazienti?

"Non abbattersi, circondarsi di persone che abbiano sentimenti sinceri. Non perdere il sorriso, questo non lo devi fare mai".

L'altra faccia della notorietà?

"L'invidia. Tanti vorrebbero essere al tuo posto e trinciano giudizi. Non me ne curo granché: ho sempre lavorato, non ho nulla di cui pentirmi".

Cosa pensa degli odiatori da tastiera?

"Non dovrebbero soffermarsi solo sulla foto che hanno in quel momento davanti agli occhi. Dietro un sorriso può esserci tanta sofferenza. Bisogna sempre pensare che oltre il personaggio c'è sempre una persona".

Come doma la paura?

"Non la tengo a bada, è incontrollabile".

Alle sue figlie ha raccontato la verità?

"Ad Aysha, la più grande, sì. Mi ha visto star male, era con me il giorno in cui ho perso i capelli. Ci sono momenti in cui piango, mi chiudo in bagno, poi esco e cerco di essere normale. I bambini non dovrebbero assistere a certe situazioni".

Un giudizio sulla sanità pubblica?

"Si potrebbe fare di più, molto di più. È inconcepibile che nel 2020 le persone muoiano di tumore".

Progetti?

"Ho immaginato spesso il futuro. Questo incidente di percorso mi ha insegnato che bisogna vivere giorno per giorno. Ora il punto principale è guarire e non attardarmi in altri pensieri: non si sa mai come va la vita".

Le piace cambiare continuamente città per ragioni di famiglia?

"L'importante è tornare".

Dove vivrà?

"In Sardegna, magari con brevi periodi in trasferta. A Roma, per esempio. È la città in cui mi curo, quella che mi ha salvato le penne: le devo tanto".

La vita con un calciatore star?

"Ce l'ho in casa, per me è un ragazzo normale. Qualche problema lo abbiamo solo se affrontiamo il mare tempestoso delle passeggiate tra la gente: molti lo fermano, è prevedibile".

Appassionata di calcio dal?

"Mai stata, è uno sport che non capisco. Ho provato ad applicarmi, a fissare tattiche e ruoli: non ci riesco. Così evito di parlarne per non fare figuracce".

Paolo Paolini

© Riproduzione riservata